L’intervista. Marcello De Angelis: “Ritornano i 270bis? Note/fuoco di ribellione per mille anni”
Testata: BARBADILLO
Data:19 settembre 2016Autore: Michele De Feudis
Tipologia: Intervista
Locazione in archivio
Stato:Solo testoLocazione: ASMA-Archivio digitale RS,Web/Barbadillo,Barbadillo 2016-09-19
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Hai già in mente la scaletta del concerto?
“Certo. E’ passata da tempo l’età dell’improvvisazione”.
(Abbiamo chiesto a Marcello De Angelis, giornalista, scrittore (da non perdere l’ultimo romanzo “C’è un cadavere nel mio champagne”, Idrovolante) e cantante identitario, di raccontarci la genesi del concerto del 4 novembre a Roma, data che segna il ritorno sulla scena italiana delle note ribelli dei 270bis. E’ bastato un post sui social e una notizia su Barbadillo.it perché in poche ore il Piper, che ospiterà la serata, registrasse oltre duemila prenotazioni. In tempi di divisioni e localismi sfrenati, le adesioni di militanti di tante formazioni patriottiche, insieme a giovanissimi che hanno ascoltato i 270bis solo su YoTube, rappresentano un fenomeno che evidenzia una vitalità dell’area sotto le ceneri della quotidianità. Fuoco di vitalismo dai nostri scrigni della memoria)
Cosa c’è dietro il ritorno sulla scena della musica identitaria?
“L’insistenza degli altri membri del gruppo – che mi dicono che se non lo facciamo adesso saremo troppo vecchi per farlo in seguito – e dei miei figli e nipoti, che sono cresciuti con le mie canzoni ma non mi hanno mai sentito dal vivo. E ovviamente non vogliono rinunciarci”.
Cosa ha rappresentato in passato questo filone musicale?
“Non posso parlare per tutti. Io so solo che è una delle cose che sapevo fare e ho messo a disposizione di quello credevo fosse il “mio” mondo e di quella che da ragazzi – quando andava di “moda” la rivoluzione – chiamavamo “la Causa”… Ho avuto una educazione familiare artistica e creativa: ho imparato a scrivere, dipingere e suonare e ho usato tutto questo per dare voce a quello che pensavo fosse il nostro sentire comune. Per questo sono diventato grafico, disegnatore, giornalista, scrittore e musicista (e persino parlamentare, perché anche in quello, credevo, si può mettere l’anima…). Le comunità, i popoli, le nazioni si esprimono così, dalla notte dei tempi, per manifestarsi e lasciare qualcosa a chi viene dopo”.
La prima canzone che hai scritto-cantato?
“Non mi ricordo. Qualcosa di intimo credo, da cantare con la decina di amici e amiche con cui condividevo tutto ai tempi del liceo… le serate, le vacanze, la militanza. E’ passato molto tempo…”.
I 270bis quando sono nati e cosa sono adesso?
“Ufficialmente, nel 1993. Ora sono un gruppo di amici molto solido, che stanno insieme da decenni e hanno condiviso le cose normali della vita oltre alla musica. Loro, i musicisti molto bravi che ho avuto la fortuna di incontrare e la colpa di aver coinvolto in questa storia, sono dei grandi professionisti – nella musica ma anche nella vita – e io sono, più o meno, sempre io. Alcuni di loro avrebbero potuto avere un grande successo e vivrebbero alla grande per le loro straordinarie doti musicali, ma hanno dovuto fare i conti con il marchio d’infamia che, involontariamente, gli ho imposto. Il mondo della musica – come molti altri ambienti – è mafiosamente dominato da personaggi che ai miei tempi stavano in Autonomia operaia o prima ancora a Lotta continua, che hanno vere e proprie black list degli artisti non omologati. E non esitano persino a chiamare i gestori dei locali per minacciarli se danno spazio a musicisti che non hanno chinato la testa al pensiero dominante… Ma se uno è bravo si fa strada lo stesso e siccome noi siamo persone “normali” siamo in grado di fare anche altro per vivere. C’è chi fa il professore, il professionista, l’imprenditore o, al peggio, come me, il giornalista…”.
Oltre duemila prenotazioni in 48 ore per il concerto. Come si spiega il sold out?
“Colpa mia. Tutti mi avevano detto che c’erano migliaia di persone che aspettavano un nostro ritorno, ma io non ci credevo. Non so, forse le esperienze negative di questi ultimi anni, le delusioni… Insomma, non pensavo che la nostra musica potesse ancora significare qualcosa per qualcuno. Credevo che, al massimo, avremmo richiamato qualche centinaio di vecchi amici con la nostalgia di tempi migliori. E invece la maggior parte di quelli che hanno richiesto i biglietti sono troppo giovani per averci mai visto suonare. Non so perché. Mia nipote mi dice che tanti ragazzi e ragazze sono cresciuti ascoltando la nostra musica su youtube o non so come. Non sono un nativo digitale, anche i cosiddetti social per me sono una cosa strana. Fatto sta che – anche questa volta – ho fatto male i calcoli…”.
I numeri invoglierebbero a fare un tour…
“Non so. Io sono per il “mai dire mai”, ma la cosa mi ha preso contropiede… Vorrei intanto produrre un altro disco. Ho una quindicina di pezzi nel cassetto, la maggior parte dei quali sconosciuti anche agli altri del gruppo. Ora che sono tornato in sala per preparare il concerto mi sono reso conto di quello a cui avevo rinunciato. Fare musica insieme è un’esperienza difficile da spiegare. E per me, il fatto di riuscire ancora a cantare, tenere la nota, gestire la respirazione come prima, è stata una sorpresa. Pensavo di non esserne più capace. Negli ultimi anni ho cantato solo la sera per far dormire i miei bambini. Ora devo tornare sul palco per risvegliare i bambini degli altri… Scusa, è una battuta, mi è venuta così, ma mi piacerebbe pensare che è proprio questo che facciamo…”.
Non dimentichiamo però che a luglio c’è stato un tuo memorabile fuori programma musicale nel Campo Magmatica, alle pendici dell’Etna, con i ragazzi dello Spazio Cervantes… Torniamo al pubblico identitario, composto da chi ha conosciuto “Salve sole” in musicassetta come da giovani cresciuti con YouTube. Che differenze ci sono? Come evolve il messaggio dei testi delle canzoni?
“So che è la risposta sbagliata ma, ripeto, non lo so. Ho perso il contatto con questo mondo che, forse, pensavo fosse perduto. Colpa mia. Forse a un certo punto, per la delusione e un senso di impotenza ho smesso di crederci. Va anche detto che comincio ad avere una certa età… E non ci sono più quelle bellissime occasioni, molto frequenti un tempo, che fino a prima che ci si chiudesse nei “palazzi” – convinti di essere arrivati – ci facevano incontrare, conoscere, discutere, amare, tra persone che venivano da posti e esperienze diverse, ai convegni, ai cortei, ai congressi… Io ascolto musica di tutti i tipi e di tutte le epoche e in diverse lingue. Non mi sembra che i messaggi varino così tanto. E i nostri testi, riascoltandoli oggi, sembrano scritti la settimana scorsa. Parlano di amici e amori perduti, fratelli caduti, case che abbiamo dovuto abbandonare, ma anche di speranze, valori eterni, la gioia di stare insieme e l’incapacità – sì, proprio l’incapacità – di arrendersi alla disperazione, di rinunciare a voler cambiare le cose… Credo, in fin dei conti, la volontà di continuare a resistere, non ammainare la bandiera, non permettere che il fuoco sacro si spenga, non accettare che abbiano vinto “loro”, non dargliela vinta, non rifugiarsi nella solitudine per paura di essere messi al bando, di essere trattati come paria. Non rinnegare i nostri padri e sacrificarci perché, di generazione in generazione, questa anomalia genetica che ci ha fatto essere quello che siamo non vada perduta… “Che almeno i nostri figli non conoscano quei torti…”, “Per mille, mille, mille e mille anni…””.
@barbadilloit