Quel domani diventato oggi
Testata: L'INDIPENDENTE
Data:11 giugno 2004Autore: Filippo Rossi
Tipologia: Recensione
Locazione in archivio
Stato:OriginaleLocazione: ASMA,RS2-0020,35
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Torna un disco cult della destra.
Vent'anni dopo, in versione cd, le ballate e i suoni della storica Compagnia dell'Anello. Musica e canzoni che precorsero i tempi
SONO PASSATI più di vent'anni. Per la precisione ventuno, da quando la Compagnia dell'Anello sfornò il suo album storico: Terra di Thule. Sono passati i paninari, il riflusso, gli anni Novanta, internet, i telefonini, la generazione x, gli sms, la caduta del muro e la messa fuori produzione del-la Vespa. A quei tempi, erano trascorsi, tanto per intenderci, appena due anni da quando Sophie Marceau ave-va attizzato con Il tempo delle mele le fantasie pruriginose degli adolescenti. E appena un anno da quando la nazionale di Paolo Rossi aveva vinto i mondiali di Spagna. Era il 1983. L'anno in cui, a Roma, veniva ucciso ancora un ragazzo di destra, l'ultimo di una lunga serie: Paolo Di Nella. Tragica coda degli anni Settanta. Adesso quel frammento d'immaginario della destra italiana riviene alla luce in versione cd.
Basta un clic sul sito della Compagnia dell'Anello (www.compagniadellanello.net) per comprare e farsi a mandare a casa un nuovo compact disc che è un autentico pezzo di storia: uno squarcio di luce su altri tempi che può, però, far capire molto sui tempi attuali. È infatti impressionante, riascoltando quelle canzoni, riscontrare quanto è rimasto di quella musica, di quelle sensazioni, di quegli umori. Terra di Thule è un album figlio legittimo degli anni Settanta, ma in tutto e per tutto padre degli anni a venire.
Nato, certo, sulle barricate, ma già con la voglia di fuggire dagli anni di piombo; sin dalla canzone che è diventata l'inno (semi) ufficiale della destra giovanile: quel Domani appartiene a noi che, nel testo e oltre il testo, era un grido di speranza per un mondo politico e culturale che voleva conquistare un posto al sole nella società italiana. Che non voleva essere più un mondo, per dirla con Marco Tarchi, di "esuli in patria". Un inno, uno slogan Una canzone diventata uno slogan che ha un precisa data di nascita: l' 11 e il 12 giugno del 1977, durante il primo Campo Hobbit, a Montesarchio in provincia di Benevento. Nel corso di quelle due giornate di dibattiti, musica e cultura della destra giovanile, due ragazzi padovani, Mario Bortoluzzi e Stefania Paternò, pensarono di adattare – in italiano e per chitarra – una delle canzoni di Cabaret, il celebre film musicale di Bob Fosse: Tomorrow Belongs to Me di John Kander e Fred Ebb. E la capacità di questo disco di rimanere saldo nell'immaginario di un mondo politico e umano che in venti anni è passato dalle "fogne" al governo è tutta in una contraddizione semantica: pur arrivando dall'esperienza della "musica alternativa", di "alternativo" aveva in fondo poco. In qualche modo se ne accorse anche il leader della Compagnia, il padovano Mario Bortoluzzi: «Sentimmo allora –ha raccontato– di aver fatto il salto di qualità. E infatti anche la Rai se ne accorse e ci dedicò un servizio di Vincenzo Mollica su Primissima illustrato con disegni di Hugo Pratt. La nostra musica poteva essere ascoltata anche fuori dal ghetto». Terra di Thule, infatti, seppure nato all'interno di una piccola area politica, ha rappresentato la voglia di uscire e di esserci. E, soprattutto, di convivere le passioni e i sentimenti di tutti gli italiani. Quelle canzoni – Terra di Thule, Nascita, Il costume del cervo bianco – sono figlie della passione celtica, figlie della Nietzsche-renaissance, figlie della fuga dalla politica. Figlie, finalmente, del loro tempo. È soprattutto per questo che vale la pena riascoltarle. Anche nell'era del digitale.
FILIPPO ROSSI