Rassegna Stampa

Rapporti politici e rapporti personali

Testata: BARBAROSSA

Data:16 febbraio 2004
Autore: Fabio Pasini
Tipologia: Intervista

Locazione in archivio

Stato:Solo Testo
Locazione: ASMA-Archivio digitale RS,Web/Barbarossa,Barbarossa 2004-02-16

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Si è tenuto a Milano uno storico concerto in ricordo di Carlo Venturino, scomparso vent’anni fa.

“Vecchi amici vi saluto, non è più tempo di cantare”.

Il fratello Marco: grazie a tutti, ma oggi non mi interessano più né la politica né la musica alternativa

E’ stata una serata di grandi emozioni quella che a metà dicembre ha riunito al teatro Carcano di Milano circa mille persone per “Tributo a Carlo”, concerto degli Amici del Vento dedicato alla voce e anima storica del gruppo milanese di musica alternativa. Carlo Venturino moriva il 27 dicembre 1983 per un incidente di moto; da quel giorno la band non ha più suonato fino al 1986 quando trova la forza di ripresentarsi alla sua gente con un’esibizione al cinema Argentina. A cantare sarà il fratello di Carlo, Marco, già chitarrista del gruppo, che nel frattempo ha scritto nuove canzoni. Gli Amici del Vento, con vari avvicendamenti, riprendono l’attività anche se le uscite pubbliche non sono molte e a metà degli anni ’90 nascono nuovi brani e si tengono nuovi concerti. L’apice sarà il concerto che nel 1997 a Monza celebra i vent’anni loro e della Compagnia dell’Anello, ma l’anno dopo il gruppo decide di smettere. Si può dunque capire l’importanza che ha avuto “Tributo a Carlo” per i cultori della musica alternativa e soprattutto per chi potuto comprendere che cosa hanno rappresentato gli Amici del Vento per un certo ambiente. La serata, organizzata dall’associazione culturale Lorien (www.lorien.it) dell’incredibile Guido Giraudo, ha avuto uno straordinario successo di pubblico. Un pubblico quanto mai eterogeneo: da Azione Giovani a Forza Nuova, dagli ex ragazzi degli anni ’70 ai ventenni “pelati”, dalle signore impellicciate a qualche (oggi sono meno rare) graziosa fanciulla. Pochi i volti “illustri” - si riconoscevano Tomaso Staiti di Cuddia e Guido Bombarda - i quali per lo più, specie quelli legati a via Mancini, hanno preferito evitare spiacevoli confronti. Già, perché il momento politico della destra è noto e sebbene i sondaggi di Mannheimer indichino una tendenza generale opposta, la popolarità dell’onorevole Gianfranco Fini tra i presenti al teatro Carcano non è parsa elevatissima. Quando il sipario si alza appare Marco Venturino, chitarra a tracolla. Si parte con “A Carlo”, splendida canzone scritta per ricordare “notti fredde” in cui si parlava “per delle ore” di donne, di politica, di speranze, convinti che “il vento tra i capelli forse ci perderà, ma il sogno nei miei occhi non morirà”. Quindi alcuni pezzi storici: “Noi”, “Nel suo nome”, dedicato a Mikis Mantakas, “Vecchi amici” e “Fior tra i capelli”, sugli orrori del comunismo, l’antiabortista “Lettera a un bambino buttato via”, quindi “Anni ‘70”. Brividi quando parte “Ritorno”. In platea cantano tutti: “Un giorno dopo l’altro / e cadono le foglie / autunno alla stazione, non c’è tua moglie…”. Nella seconda parte del concerto gli Amici del Vento rendono omaggio ad altri autori della musica alternativa: Compagnia dell’Anello, Gabriele Marconi (“Piccolo Attila” è sempre magica), ZPM, 270 bis, Massimo Morsello e Fabrizio Marzi. Nel “terzo atto” è la volta dei brani più recenti, lucidi e tremendi: si va da “Progressista rap” a “L’identità”, da “Droga” a “Essere normale”, da “Nar”, riflessione su chi è caduto nella trappola della lotta armata, a “Gatto nero”, divertente canzone in cui chissà quanti si sono riconosciuti (sorrisi e cortesie al Sistema di “giorno”, quindi avventure e botte con i “gatti rossi” di notte). Arriva il momento del gran finale che non potrebbe essere diverso: “Se mille son le storie che il vento porta via / questa è la nostra storia, generazione mia…”. Il teatro s’infiamma ed esplode letteralmente per le ultime parole: “…su questa nostra terra un vento soffierà / e noi semineremo la nostra libertà / lontano spazzerà i figli del tradimento / ma noi saremo in piedi: siamo Amici del Vento!”. C’è qualcosa di magico, di inquietante e vagamente frustrante nell’aria. Il sipario cala e la sensazione è che non cali soltanto sull’ultimo (?) concerto degli Amici del Vento. Qualcosa che viene da lontano, molto lontano, forse ha conosciuto davvero la sua fine. E’ con un animo punto da questo tarlo, oltre che scaldati da una grande emozione, che abbiamo incontrato Marco Venturino, che oggi è uno stimato medico chirurgo. E’ stata una chiacchierata lunga e molto interessante e, se si vuole avere la presunzione di saper leggere nell’animo delle persone, dobbiamo dire che l’uomo ha qualcosa di esemplare. Un colloquio sincero e franco da cui emerge un quadro niente affatto felice per chi ancora coltiva certe illusioni, specialmente per quanto riguarda le parti in cui il nostro registratore è stato spento e di cui nell’intervista di seguito pubblicata non leggerete, crediamo correttamente, nulla.

Tu hai detto chiaramente, anche in apertura del concerto “Tributo a Carlo”, che non ti occupi più di politica. Che cosa pensi dei recenti fatti riguardanti il maggior partito della destra italiana e il suo leader?
Ho scritto di recente su una chat di un gruppo di ex camerati che, in realtà, Fini ha fatto bene a fare quello che ha fatto. La gente come me è stata liberata dalla sua azione politica. Lui ha fatto le sue scelte, la sua strada, ha seguito una linea nella quale io non mi ritrovo, per cui non mi sento più “in dovere” di votare Alleanza Nazionale. Perché? Che differenza c’è tra An e l’Udc o la Margherita? E poi - detto che la democrazia è il grande pregiudizio del secolo scorso - se vogliamo entrare nel gioco democratico, in un Paese veramente democratico la gente che si occupa di politica deve essere una minoranza. La politica è un mestiere, come è un mestiere fare il medico, il giornalista o fare qualsiasi altra cosa; non chiedo a te cosa devo fare in sala operatoria.

Forse però quello che fa più male nella fase attuale della destra politica è che al di là delle scelte di un capo, che può passare come ne sono passati altri, è il venir meno di un gruppo umano che condivida, se non altro, almeno gli stessi sentimenti.
Sai, anche sotto questo punto di vista ci sono da fare delle constatazioni molto amare. Il gruppo umano che a un certo punto si è venuto a creare attorno all’ambiente neofascista – chiamiamolo così – italiano negli ’70, al di là di un certo comune sentire, era un gruppo “di emergenza” dovuto a delle contingenze esterne che avevano isolato e, anche fisicamente, impensierito tale ambiente. In realtà quello che univa certi individui era molto meno preciso e spesso di ciò che si crede. Nell’ambiente neofascista milanese, per esempio, si andava da Alleanza cattolica a chi credeva nell’eresia di Ario. Erano posizioni incompatibili, infatti quando l’emergenza esterna è calata, facendo sì che l’anello si potesse dilatare, queste persone addirittura non si parlano più. Non solo. Il “gruppo umano” abbiamo anche visto che fine ha fatto. Quando i nostri, che magari sono stati militanti per anni, sono andati al potere, non si sono comportati tanto diversamente da quelli contro i quali ci siamo sempre scagliati. Sono sempre stato convinto, e per questo motivo sono entrato nella grande famiglia della destra giovanile degli anni ’70, che noi fossimo migliori degli altri. E non è stato così, spiace dirlo, spiace veramente, ma non è stato così. Molti dei nostri, diventati sottosegretari, assessori, hanno formato i loro circolini d’interessi e hanno cominciato a manovrare poco chiaramente.

A proposito, che cosa pensi di Silvio Berlusconi?
Altra nota dolente. E’ un uomo che non c’entra nulla con noi e la nostra storia; liberismo, cultura dei consumi, edonismo, guerra di fatto allo Stato etico sono l’opposto di quell’insieme di valori in cui abbiamo sempre creduto e per cui ci siamo sempre battuti con tutte le nostre forze. E poi - parliamoci chiaro - i compromessi si fanno per ottenere qualcosa che ti sta a cuore. An si schiera a difesa degli interessi di Berlusconi, sopporta di tutto per che cosa? Per dire anch’essa che gli americani hanno fatto bene a invadere l’Iraq? No, non lo posso accettare, quindi dico basta. Anche perché non c’è niente di peggio di quelli che vogliono stare all’interno però poi fanno i critici.

Beh, credo di far parte anch’io, per ora, di questa gentaglia…
Non ho parlato di gentaglia. Il problema è che ti fai del male, ma capitava anche ai miei tempi. Anche se molti dissidenti erano autenticamente dei “compagni” capitati lì per caso.

Ecco, a proposito di “compagni”, inizierei a parlare più specificatamente degli “Amici del Vento”. Tra i vostri primi pezzi ce ne sono diversi di chiaro segno anticomunista, sia ispirati alla tragedia di chi è finito sotto la “grande bestia rossa” sia ai tic di chi in casa nostra sognava “il sol dell’avvenire”. Nel 1977 cantavate “comunismo tu hai perduto, vincerà la libertà”: oggi siete in abbondante compagnia…
Sì, ma allora tutti questi “eroi” dell’anticomunismo per le strade non si vedevano.

Già, e c’era e c’è anche chi a destra stenta a definirsi anticomunista “tout court”.
Il discorso è molto complesso e io credo di non essere ideologicamente in grado di dimostrarlo. E’ appena uscito un bel libro di Marco Tarchi sull’interpretazione del fascismo dove, attraverso un’analisi di diversi storici che si sono occupati del fenomeno fascista, diventa difficile riuscire a trovare un’anima comune tra i vari fascismi e tra i vari aspetti del fascismo. E così è stato esattamente negli anni ’70 nel modo del neofascismo; si andava dai monarchici agli ammiratori di Carlo Magno agli anarcoidi che è oggi si ritroverebbero sulle posizioni dei No Global.

Anche oggi vi è un arco che va da chi ha caldeggiato il rientro degli ex regnanti d’Italia a chi si può benissimo riconoscere in una canzoni velenosamente antisabauda come “La Savoiarda” dei D.D.T.
Certo, si tratta di interpretazioni, di chiavi di lettura di un fenomeno molto complesso come è stato il fascismo, che aveva molte anime. Però ci sono delle estremizzazioni e delle situazioni limite; la Nuova Destra, per esempio, che secondo molti avrebbe dovuto rappresentare la visione più autentica e illuminata del fascismo, in realtà ha preso dal fascismo un aspetto molto peculiare e settoriale arrivando ad avere posizioni come quelle di chi dice: togliamo di mezzo il “pattume anticomunista”. Secondo me tutto ciò è sostanzialmente scorretto, perché se stai all’interno di qualcosa e di questo qualcosa sei una parte minoritaria che prende in considerazione solo un aspetto, non puoi pretendere di esserne l’interprete più autentico. Quindi levare al neofascismo italiano degli anni ’70 la visione anticomunista è uno sbaglio, uno sbaglio storico e di interpretazione.

In questo discorso si può inserire il dualismo storico Almirante-Rauti?
Nell’emiciclo che va dalla Destra Nazionale, con l’entrata di personaggi come Covelli e addirittura Plebe, alle posizioni della Nuova Destra, Almirante e Rauti non si situano ai due estremi, ma al centro, uno affianco all’altro. In realtà, su molte cose le visioni non erano così differenti; uno ha cercato di ampliare un progetto politico, l’altro un progetto ideologico, arrivando a teorizzare il cosiddetto “sfondamento a sinistra”. Accettare visioni liberal-conservatrici non vuol dire diventare liberal-conservatori, così come cercare di giocare sul terreno della sinistra, non significa sposarne idee e istanze. Quello che è successo oggi invece è che l’apertura si è tramutata in una sostituzione di principi e questo non va bene. Su certe cose bisogna essere fermi: parlo di radici, di Tradizione, di visione spirituale della vita.

Torniamo alla musica. Una serata come quella di “Tributo a Carlo”, è inevitabile, induce a qualche riflessione. Tu stesso sei apparso molto emozionato sul palco, ma per tutti i presenti sono stati brividi e nodi alla gola. Che cosa ha significato per te tornare a cantare nel nome di tuo fratello e trovarti di fronte tutte quelle persone che non hanno dimenticato una parola delle vostre canzoni?
E’ una cosa molto bella, che ti fa sentire molto calore e ti fa capire che certe idee, certe scelte sono state condivise e tuttora ricordate. Questo è molto importante al di là di quelle che possono essere le differenze, anche pratiche, sulla visione della politica. Poi, soprattutto, c’è molta amicizia, perché buona parte di quelli che sono venuti al concerto sono amici con cui ho condiviso una parte molto importante della mia vita ed è confortante che sia rimasto qualcosa anche con le persone che non frequento più.

La prima parte del concerto è stata dedicata alle canzoni più vecchie degli Amici del Vento, quelle nate negli anni più duri, in cui si cadeva o si finiva in galera con estrema facilità. Voi quegli “anni spezzati tra gioia e dolore” li avete in seguito cantati, se non proprio con nostalgia, con l’animo di chi riconosce il valore di certi momenti. Meglio quell’epoca buia e di lotta del placido nulla di oggi?
Non è proprio così. Ricordiamo con molta gioia e intensità quel periodo così ricco, che poi è quello della nostra giovinezza. E la giovinezza è la fase delle scelte, della crescita, delle esperienze, in cui ancora non si conoscono le delusioni e le disillusioni. Ma, fermo restando che faccio fatica a capire quali possano essere le necessità adesso di un ragazzo di vent’anni, non credo si possa dire: allora era meglio. Era così e basta, noi abbiamo vissuto intensamente dando la priorità a quelli che chiamavamo valori. Credo che si possa vivere così anche oggi senza bisogno di fare la guerra per le strade. Non mettiamo in atto la grande truffa di far passare gli anni ’70 come l’epoca del grande impegno politico mentre i ’90-’00 come gli anni dello “scazzo” assoluto. Ci sono tantissimi giovani oggi che fanno volontariato, che si impegnano in questioni importanti e il raduno dello scorso anno dei cosiddetti “Papa boys” lo testimonia”. Cambiano le forme e i sistemi di realizzazione e manifestazione di se stessi, ma come non tutti allora si immolavano per un’idea, non tutti oggi pensano solo a telefonino e discoteca.

Nell’arco della vostra produzione artistica ci sono alcune costanti: la rabbia (“chi oggi fa il padrone domani striscerà”), l’ironia (“trama nera, trama nera, sol con te si fa carriera”) e la speranza (“nel buio della notte una fiamma brillerà, sarà la nostra fiamma, saranno i tuoi vent’anni, la nostra primavera sarà la libertà”). Avete rappresentato molto bene un certo tipo umano che inizia per “f”: incazzato, goliardico, sognatore…
Certo. Queste tre componenti caratterizzano quello che siamo noi, quello che abbiamo voluto rappresentare, quello che ci piace essere. Per dirla con un vecchio motto: siam fatti così…

Tu e gli Amici del Vento avete cessato di cantare ormai da qualche anno come altri cantautori e gruppi. A parte chi come Massimo Morsello se ne è precocemente andato, ci sono anche ottimi esempi di continuità nella musica alternativa, penso ai vostri “coetanei” della Compagnia dell’Anello, a Gabriele Marconi, ai 270 bis. Nella serata del teatro Carcano avete reso omaggio anche ad altri artisti, che cosa puoi dire su di loro?
Mah, dovresti chiedere a loro perché facciano ancora musica alternativa e che cosa ci trovino. Personalmente non capisco che senso abbia continuare questa avventura. Tu hai parlato di qualità, ma non mi pare proprio sufficiente; tranne Morsello, che soprattutto con il primo disco ha fatto una musica di ottimo livello, oggi occorrerebbe tutt’altro. Attualmente lo “scantinato” non ha più motivo di esistere. E poi anche a livello umano le delusioni sono parecchie, perché è molto facile parlare di idee, ma quando ti rendi conto di quello che fa Tizio, degli interessi di Caio, dei giri di Sempronio, capisci che è tutto finito.

Che idea ti sei fatto della platea di “Tributo a Carlo”?
Per la verità ho visto poco perché era tutto buio e avevo la luce negli occhi. A parte gli scherzi, non posso che dire bene di quelli che mi hanno onorato della loro presenza; sono molto soddisfatto di coloro che sono venuti, tra l’altro, si è trattato di un pubblico caldo, ma che si è comportato benissimo. Temevo che con gli ultimi accadimenti della politica si potesse scatenare una gazzarra, non tanto per la gazzarra, perché abbiamo visto di peggio, ma perché si sarebbe rovinato lo spirito autentico della serata.

Per la verità qualche intemperanza c’è stata…
Sì, ma doveroso, doveroso. Trovo assolutamente normale che qualcuno si sia messo a gridare “Fini boia!”, perché ci stava. Non dico che se non lo avessero gridato loro, lo avrei fatto io, ma quasi… E poi un po’ di esuberanza ci vuole.

Tirando le somme, ritieni davvero finito il vero ambiente umano e politico della destra italiana?
Le cose cambiano, si modificano, ritornano. Certo, quello che ci univa tutti quanti sabato (13 dicembre 2003, ndr) è qualcosa che rimane e che può prendere le forme più diverse. Noi viviamo la delusione perché il partito in cui tutti un tempo (qualcuno magari storcendo il naso) ci riconoscevamo, il Movimento Sociale Italiano, oggi non c’è più, ma non è detto che sia un male. L’unità di certi sentimenti c’è, bisogna solo trovare una linea espressiva, o anche solo dei momenti che possano riunire. Può anche essere sufficiente questo e non è scritto da nessuna parte che si debba esprimere attraverso un partito.

Fabio Pasini

(febbraio 2006 - Fonte: www.barbarossaonline.com)


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TRIBUTO A CARLO