Rassegna Stampa

La Compagnia dell'Anello in rotta verso orizzonti inesplorati

Testata: SECOLO D'ITALIA

Data:21 ottobre 1990
Autore: Luciano Lanna
Tipologia: Intervista

Locazione in archivio

Stato:Smontato originale
Locazione: ASMA,RS2-0006,14

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Non è un miracolo. Quella che i vostri occhi possono ammirare è la copertina finalmente presentabile di una musicassetta dalle intenzioni per il traslato tolkeniani che sia il nome del gruppo la Compagnia dell’Anello, sial o stupendo quadro dei fratelli Hildebrandt con i personaggi di Tolkien in rotta verso l’avventura, autorizzano a prestargli. Dal sarcastico al tragico dall’aneddoto al problema ideale, neanche un briciolo di retorica fuori posto, nessun cedimento musicale. Un brano stupendo: Il domani appartiene a noi. Con queste parole nell’ormai lontano ’78 veniva presentata sulle pagine della Voce della Fogna l’uscita della prima raccolta musicale della Compagnia dell’Anello. Erano gli anni dei Campi Hobbit e delle prime radio libere, delle cooperative librarie e della scoperta dell’ecologia e della metapolitica: un mondo umano e politico assediato e lacerato dalla nevrotizzazione degli anni di piombo scopriva nuove dimensioni di impegno e nuove forme di comunicazione attraverso le quali esprimere idee e speranze. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti ma la musica della Compagnia dell’Anello ha continuato a rappresentare un punto di riferimento per tutto l’ambiente. Tanto che proprio Il domani appartiene a noi è in qualche modo diventato l’inno ufficiale per tutto il mondo giovanile dell’area. E il gruppo dalle due chitarre e voci iniziali ha conosciuto attraverso varie fasi un’evoluzione che lo ha portato a livelli di musicalità e sperimentazione particolarmente innovativi. Alla produzione della Compagnia dell’Anello si è recentemente aggiunto un nuovo album intitolato In rotta per Bisanzio. Del disco e dei progetti della Compagnia dell’Anello abbiamo parlato con Mario Bortoluzzi, esponente storico e voce del gruppo, e con Massimo di Nunzio che si occupa dei testi e della musica con la chitarra, il salterio, il flauto e la cornamusa.
D. Mario come definiresti il genere musicale e i contenuti del vostro ultimo disco?
R. Non credo di poter trovare una collocazione tradizionale per il tipo di musica prodotta dalla Compagnia, abbiamo privilegiato i contenuti rispetto all’abito dei brani, usando di volta in volta le melodie che più ci sembrano adatte o che spontaneamente la fantasia ci suggeriva. Non dovendo rispondere a logiche di mercato abbiamo sempre cercato di scrivere con il cuore quello che sentivamo più giusto e a volte credo ci siamo riusciti. In rotta per >Bisanzio è il risultato di un anno di lavoro e di qualche anno di gestazione, uscito tra mille difficoltà di chi, come noi, non fa queste cose per lavoro ma unicamente per esprimere in musica un modo di essere ancora controcorrente rispetto al non pensiero dominante. Non trovo a livello di tema conduttore una differenza tra questo LP e il precedente, Terra di Thule, abbiamo ancora tentato di evocare attraverso l’uso delle immagini e suoni antichi e moderni la stessa visione della vita, fondendo generi musicali diversi. Il tipo d’uomo che si propone è sempre lo stesso. L’evoluzione invece si nota nella pulizia dell’incisione, nell’esecuzione dei brani e un plauso particolare va a Tiziana Sordi e a Umberto Croppi che hanno realizzato una veste grafica raffinata e al contempo estremamente semplice.
D. E tu sei d’accordo Massimo?
R. Il disco è stato realizzato dando via libera alle sensibilità più interiori, più profonde del nostro essere musicisti. E’ un lavoro che è la diretta conseguenza dell’impegno di chi vuole tentare di costruire qualcosa a partire da questioni concrete più che ideologiche. Si tratta del tentativo di trasmettere alcune sensazioni di possibili possibilità di comportamento, di impianto politico e artistico, di vita più in generale, relativamente ad un progetto che non sia la solita prospettiva di carattere consumistico. Dal punto di vista musicale abbiamo tentato di fornire un supporto quanto più acustico possibile. Inoltre questa volta nella realizzazione abbiamo coinvolto, oltre ai musicisti che erano stati chiamati a collaborare alle nostre precedenti esperienze, anche altri artisti rendendo anch’essi partecipi a pieno titolo della Compagnia. E ciò ha portato idee nuove e possibilità di allargare i nostri orizzonti.
D. Le innovazioni non sono legate alla professionalità musicale ma, è l’impressione generale, anche all’impianto do fondo del disco. Quali motivi hanno determinato le nuove scelte stilistiche?
R. Effettivamente si era inizialmente pensato di realizzare un prodotto sinfonico a struttura unica, legato ad un tema conduttore. Probabilmente una cosa del genere dopo le precedenti esperienze della Compagnia e le aspettative del nostro pubblico avrebbe costituito un traguardo troppo avanzato. In rotta per Bisanzio è ancora una tappa intermedia verso la liberazione del vecchio didascalismo. Oggi non si tratta più di offrire una verità prestabilita e rassicurante. Si sta cercando di dare più spazio ad una sensibilità di fondo che lasci intravedere, immaginare una dimensione dell’essere che superi gli schemi del militante estremamente politicizzato degli anni ’70. Cerchiamo di dare il nostro contributo ad una visione metapolitica che guardi oltre gli steccati. Non è un caso che la nostra musica più recente può essere ascoltata indipendentemente dalle posizioni politiche immediate dell’ascoltatore. E credo che questo modo di intendere la musica e più in generale la cultura sia un progetto embrionale che tenderà in futuro ad essere definito da parte nostra con maggiore esattezza nelle sue finalità
D. Come spieghi Mario la presenza di brani puramente strumentali?
R. L’aver collocato tre brani strumentali all’interno di un disco rivolto principalmente al nostro ambiente è stata una scelta precisa e meditata. In particolare per un brano come Lhasa è stata decisa l’esecuzione unicamente strumentale proprio perché l’impianto era così esauriente da non rendere necessario un testo: l’uso della conchiglia rituale tibetana, quella che compare in copertina, e di altre sonorità, ottenute con l’ausilio di strumenti acustici ed elettronici, hanno tentato di suscitare in chi ascolta quasi il senso di volare, di osservare dall’alto quello che prima dell’invasione dei comunisti cinese, era un paese libero e felice.
D. E in questo senso qual è il significato della differenza di ispirazione e musicalità tra le due facciate del disco?
R. I brani della seconda facciata parlo specialmente di quelli che più mi riguardano, Anni di porfido, e Giornate di Settembre, sono un po’ il ricordo e insieme il bilancio delle esperienze di una parte della mia generazione che dopo la stagione degli anni ’70 ha abbandonato l’impegno diretto nel Movimento per seguire altre strade. Lo studio e la pratica delle dottrine orientali, l’alpinismo non visto come mero esercizio di muscoli ma come via di realizzazione spirituale, la passione per il Medio Evo e il vagare per le antiche vie alla ricerca di segni quasi scomparsi, supportati dalla lettura di autori come Guenon, Evola la letteratura Fantasy di Tolkien. E’ uno spaccato del nostro mondo che nessuno conosce specie tra i nostri antiche avversari e mi è sembrato giusto ricordarlo. Penso che il rimpianto più grande della generazione degli Anni di porfido è stato quel non aver potuto comunicare ai coetanei le emozioni la gioia di vivere quelle esperienze, a causa della caccia alle streghe fasciste, la voglia di giustizia che pure riempivano il nostro vivere controcorrente di quegli anni
D. A te Massimo chiedo invece le ragioni del titolo. Perché In rotta per Bisanzio?
R. L’idea nacque inizialmente più per un’acquisizione estetica che sostanziale. Invece subito dopo si è trasformata in un sentire diverso. Per la Compagnia è emblematico navigare ad Oriente anziché ad Occidente, ricercare ed abbracciare dimensioni che siano altre da quelle dell’occidentalismo consumista. Si tratta di una scelta di fedeltà ad una visione del mondo che è determinante nel nostro ambiente ma non appare ancora essere accolta in altre aree culturali. La comunità errante è alla ricerca di nuove mete, di orizzonti inesplorati. La stessa tradizione non è per noi una realtà totalizzante, essa al contrario serve come trampolino di lancio dal quale bisogna aver il coraggio di saltare per trovare risposte alle nuove dimensioni delle sfide esistenziali politiche.
D. A questo punto Mario, qual è il tuo bilancio sul lavoro svolto e quali prospettive future vedi per la Compagnia?
R. Per quanto riguarda le prospettive è già un piccolo miracolo che sia uscito questo LP. L’autoprodursi costa e Dia solo sa a quante porte abbiamo bussato per cercare i fondi per l’incisione.. Ad un certo punto era in forse anche la pubblicazione dell’ LP ma poi l’aiuto è arrivato. Non siamo riusciti ad incidere cassette e Cd per mancanza di fondi, ma qui il discorso si sposta sul piano politico organizzativo, il nostro mondo deve compiere quel salto di qualità che ormai non è più rinviabile. Con questo suo piccolo contributo la Compagnia lancia un messaggio al Movimento per cui canta e suona da quasi sedici anni . Più in generale per il nostro mondo il problema oggi, non è solo quello della mancanza di fondi come si sostiene da tante parti. Si tratta invece di coagulare tutte le energie e le risorse esistenti per dar vita a un progetto che riesca a comunicare la nostra vera immagine e a posizionare le nostre idee di fronte alle domande della nostra società civile. Dobbiamo in altre parole creare i presupposti per la nostra esistenza reale all’interno della società della comunicazione.


Gruppi citati

COMPAGNIA DELL'ANELLO