Cabaret la storia mai scritta - Il volo del cormorano
Testata: SECOLO D'ITALIA
Data:30 agosto 1995Autore: Leo Valeriano
Tipologia: Specifico
Locazione in archivio
Stato:OriginaleLocazione: ASMA,RS2-0008 (RS6-0001),21 (12)
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Giunse il settembre del 1966 e io seppi che la Direzione del Bagaglino aveva assunto un nuovo elemento. Non un cantautore ma un cantante che appunto avrebbe cantato canzoni scritte dai quattro autori: era Franco Cremonini. Avevano pensato che al prima parte dello spettacolo dovesse avere una sua unità anche sul piano musicale e che tutto sommato era preferibile rischiare di meno. Inoltre la seconda parte era stata rivoluzionata. Tony Cucchiara e Nelly se n’erano andati perché avevano in mente un progetto, Tony Santagata veniva chiamato solo per serate particolari e nel cast era entrata una nuova cantante Pat Starke. Ovviamente seguitai a far visita a Luciano Cirri nel suo ufficio, E lui visto il mio interesse, seguitava a farmi dono dei libri che uscivano per la collana il Borghese e che io leggevo avidamente. Ma nonostante tutto seguitavo a non capire perché la cultura contemporanea si dovesse impegnare costantemente nel falsare la Storia, non solo per quanto riguardava il Fascismo ma anche nei confronti di qualsiasi altro episodio autenticamente patriottico. La guerra e il confronto armato così pensavo io, erano ormai finiti. A che scopo quindi rinfocolare un contrasto civile che in quel momento avrebbe potuto essere proposto solo come confronto politico? Pensavo che si poteva accettare o meno questa o quella ideologia, ma almeno in nome della tanto decantata strada verso la democrazia, non se ne dovevano falsare le realtà storiche. Questa constatazione mi fece indignare e quella rabbia fece scaturire in me una reazione, una ballata su colui che era stato l’artefice del Fascismo, cercando di proporre la sua figura storica in un’angolazione meno politica e più umana. Era la prima volta che qualcuno affrontava così apertamente quel tema attraverso una ballata, ma io ritenevo che fosse arrivato il momento che qualcuno cominciasse a parlarne, senza rabbia e con umanità. E che, inoltre, si cominciasse a parlare del bagaglio di emozioni che quel periodo aveva lasciato. Quella ballata non voleva essere né una provocazione né un tentativo di reazione, ma molto più semplicemente un modo diverso di intendere la storia. Il titolo di quel canto era “La ballata dell’illusione”.
Ovviamente ricordando la precedente esperienze non potevo pensare di proporre una canzone del genere al Bagaglino, per cui non mi restava che cercare un’altra strada. Nell’anno precedente avevo partecipato a riunioni in circoli particolari dove lo spirito del cabaret veniva espresso solo attraverso canzoni. Il più famoso, fra tutti questi locali, era il Folk Studio, per conto del quale, durante l’estate, avevo fatto diverse serate. In questo locale dove si beveva solo una sangria preparata dal proprietario Harold Bradley, si esibivano abitualmente Pietrangeli, Silvano Spadaccino, Francesco De Gregori, e Pippo Franco, un simpatico cantautore esule del Setteperotto, il cabaret che era stato fondato da Maurizio Costanzo e chiuso qualche tempo prima. Con lui Toni Santagata e Magali, una dolce cantante francese, aprii un cabaret in una cantina nella Trastevere meno conosciuta: Il Cormorano. Fu creato con la buona volontà e l’inesperienza di un gruppo di ragazzi che avevano fatto dell’indipendenza la loro bandiera. Gli incassi non erano alti ma riuscivamo a pagare almeno gli altri tre componenti del gruppo. La cosa migliore era l’atmosfera fatta di semplicità e di naturalezza che si respirava. Non potendo avere superalcoolici offrivamo ai nostri clienti diversi tipi di vino e a mezzanotte invece delle penne marchio del Bagaglino, pasta e fagioli. Pur non potendo dare una impronta decisamente politica allo spettacolo, essendo questo formato da quattro spezzoni ognuno dei quali rappresentava esclusivamente la personalità di colui che si esibiva, io decisi di seguitare lungo la strada che avevo intrapreso. Era il 1967, l’anno del primo trapianto cardiaco in Sudafrica per opera di Barnard. Fu l’anno in cui Israele cinse la guerra dei sei giorni ottenendo il rispetto di tutto il mondo. La figlia di Stalin, Svetlana, era fuggita dall’Urss e si era rifugiata in Occidente. In Italia cominciò la rivolta studentesca e molte università vennero occupate. Purtroppo l’esperienza del Cormorano non durò molto, anche perché Gianfranco Pingitore che invitato da me, era venuto a vedere lo spettacolo, aveva convinto Pippo Franco a trasferirsi al Bagaglino, allettandolo con offerta migliore che io comunque avrei potuto sostenere. Ma c’era un mondo umano che non si dimenticava né di me né delle mie canzoni e così tornato alla grafica pubblicitaria, seguitai a cantare per quelli che ormai erano diventati i miei amici. In fondo questo non mi dispiaceva perché ero riuscito a trovare una dimensione che mi eleggeva a un cantore di quel mondo aperto e solare, anche se costretto al silenzio da democratiche soffocature. E giunse anche il periodo in cui il termine fascista fu usata come la più dispregiativa delle parole. Ricordo la cronaca di un tale che sentendosi elargire la qualifica di fascista da un suo avversario lo aveva querelato per oltraggio, riuscendo a vincere la causa. La Destra e la sua cultura venivano ancora una volta spinte verso la ghettizzazione. Ovviamente e per fortuna esisteva ancora il Bagaglino con le sue scenette e le sue canzoni. E proprio in quel periodo furono scritte due tra le più belle canzoni : Viva la vita di Luciano Cirri e cantata da Cremonini e Il mercenario di Lucera di Pingitore cantata da Pino Caruso. Anche di questa fu realizzata un’incisione e l’attività discografica sembrò diventare una delle attività primarie del celebre cabaret. Invece per me il cantare era diventato un’attività assolutamente secondaria, non dovendo più viverci, avevo cominciato a concepire l’idea della canzone militante del popolo. Avevo trovato un buon lavoro come cartellonista e dopo un paio di esperienze non molto esaltanti, almeno sul piano umano, avevo messo da parte ogni velleità teatrale.. Ma un giorno, scartando delle uova che avevo comprato e che mi accingevo a trasformare in frittata, lessi nel pezzetto di carta che le aveva avvolte la notizia che Luciano Cirri si era staccato dal gruppo del Bagaglino e che era sul punto di aprire un altro cabaret. Gli telefonai e lui mi diede un appuntamento. A questo punto è necessario dire qualche cosa di più su questo straordinario e controverso personaggio che ha lasciato un’importantissima traccia nella cultura di Destra. Era nato a Pisa il 18 agosto 1931 da una buona famiglia, colta ma di modeste possibilità economiche, che tuttavia aveva voluto per il loro figliolo l’accesso a una buona istruzione. Il giovane Luciano aveva messo bene a frutto quelle possibilità e in brevissimo tempo era diventato uno dei giovani intellettuali di quella Destra conservatrice ma rivoluzionaria che si riconduceva all’aspro spirito di una certa toscanità. Luciano aveva conosciuto Giovanna, quella che sarebbe diventata sua moglie sui banchi di scuola. Insieme avevano combattuto quelle battaglie studentesche che vedevano scontrarsi continuamente gruppi di Destra e di Sinistra. Un girono Giovanna si fidanzò e decise di sposarsi con un amico di Luciano ma egli la dissuase dicendole, “Non puoi sposare lui devi sposare me” e alle proteste di lei aggiunse “Gli faresti solo del male perché se lo sposi io e te finiremo con il diventare amanti. Pertanto è meglio che questo rischio lo corra io. Credimi è per puro spirito di altruismo che lo faccio” Tanto senso dell’umorismo e tanta sfacciataggine non potevano sortire l’effetto da lui desiderato. E così i due si sposarono realmente. Le foto ci dicono che erano veramente una bella coppia e so che lo erano ancora quando li conobbi io. La cosa strana è che io non incontrai Giovanna come moglie di Luciano bensì come energica dirigente della casa discografico Rca con la quale avendo fatto il Festival di Ariccia avevo cominciato ad avere frequenti contatti. Era una donna di carattere tutto pepe e decisione, Una di quelle persone che ti fanno sentire il bisogno di correre anche quando la pigrizia ti frena. Quando la incontrai al Giardino dei Supplizi non sapevo assolutamente che fosse la moglie di Luciano e quando egli me la presentò scoppia a ridere; non ci poteva essere persona più adatta per tenere a bada quello sciupafemmine. Avevano una figlia che adoravano Francesca. A lei Luciano aveva dedicato una delle sue più struggenti canzoni “Ninna nanna a Francesca” dove aveva nascosto molti dei suoi sentimenti e delle sue frustrazioni. Inutile raccontare come egli fosse continuamente circondato da donne bellissime e desiderose di avere almeno un invito a cena da parte sua. Egli si destreggiava come poteva. Ma questa è una cosa che riguarda un aspetto della sua vita che non fa parte della nostra storia. Nel Msi c’era un gruppo di giovani che effettuavano un lavoro di militanza nei confronti della Destra. Si chiamavano i volontari. Rossi che lo dirigeva mi chiese di scrivere per loro un inno e io pensando ai rischi che questi giovani correvano ogni giorno per puro spirito ideale regalai loro Bella Banbina