Di Giorgi-Ferrario. Il nostro canto libero
Testata: IL FONDO
Data:2 agosto 2010Autore: Susanna Dolci
Tipologia: Intervista
Locazione in archivio
Stato:Solo testoLocazione: ASMA-Archivio digitale RS,Web/Il Fondo,Il Fondo 2010-08-02
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Susanna Dolci
INTERVISTA IPPOLITO EDMONDO FERRARIO
È uscito in libreria giovedì 29 luglio. La casa editrice è la Castelvecchi di Roma che ha iniziato a sfornare libri nel 1993. Un’editrice per lo spirito giovane. Dall’iniziale espressione dei centri sociali al web, passando per le nuove frontiere, i fenomeni emergenti e i progetti alternativi, la narrativa talentuosa. Ovvero «della pro politica dell’incoraggiamento». 50 titoli l’anno con delle primizie assolutamente ammirabili tra le quali, ad esempio, un bel tomo dedicato all’antropofagia. Ma torniamo a noi. Il titolo: Il nostro canto libero. Il neofascismo e la musica alternativa: lotta politica e conflitto generazionale negli anni di piombo. Gli autori: Cristina Di Giorgi e Ippolito Edmondo Ferrario. La Di Giorgi è romana, del 1972. Laureata in Giurisprudenza e Scienze politiche e cultrice di Storia contemporanea, ha pubblicato il saggio Note alternative, Ed. Trecento. Giornalista pubblicista, ha al suo attivo numerose collaborazioni di politica e attualità. Ippolito Edmondo Ferraio nasce a Milano nel 1976. Scrittore e giornalista, collabora con ilSecolo d’Italia. Tra i suoi libri, una trilogia noir ambientata nel borgo di Triora e per la Mursia, nel 2009, Mercenari. Gli italiani in Congo, 1960. Il comunicato stampa di presentazione al volume è perfettamente essenziale e lineare: «Agli inizi degli anni Settanta, nel pieno di quella crisi di rappresentatività che portò una parte importante del neofascismo a distaccarsi dal Movimento Sociale, insieme alla galassia di sigle che connoterà la destra radicale nasce un fenomeno musicale e politico destinato a durare nel tempo: la cosiddetta «musica alternativa».Dalla Compagnia dell’Anello agli Amici del vento, da Massimo Morsello agli Janus, da Walter Jeder agli ZPM, Il nostro canto libero, attraverso un’analisi serrata e le testimonianze inedite dei protagonisti, si confronta con la colonna sonora di un trentennio di lotte e con un immaginario spesso mistificato. Un’occasione importantissima per conoscere e capire dall’interno, insieme alla nuova destra, le contraddizioni che albergano nella società italiana». E da brivido, di rimembranza proustiana, le numerose foto a corollario in bianco e nero ed a colori. Il libro si apre a pag. 5 con alcune sigle ed abbreviazioni per chi sia fuori dalla storia e materia trattate o le abbia “sbadatamente” dimenticate: DART, FDG, FUAN, GPDPN, NAR, PNF, RSI. Ovvero Divisione Arte, Fronte della Gioventù, Fronte Universitario d’Azione Nazionale, Gruppo Padovano di Protesta Nazionale, Nuclei Armati Rivoluzionari, Partito Nazionale Fascista, Repubblica Sociale Italiana. E prosegue nel mare magno dei personaggi, delle testimonianze, delle realtà locali e nazionali di un fenomeno ad ampio raggio, quello della musica d’area e della relativa cultura, che l’Italietta “benpensante” dei quadri di-storti della politica ha tentato di nascondere, se non soffocare. Leo Valeriano, Radio Alternativa, Campi Hobbit. Anni di piombo. Un capitolo dedicato alla voce femminile di Andreina Rossi che spontaneamente aderì alla “parte sbagliata” con un monopolio intellettuale completamente in mano alla sinistra cieca e bieca. Ed ancora le pagine vibranti suMassimino Morsello, sempre indimenticabile… Tanto riaffiora, così nella mente dei lettori, soddisfatti e rimborsati anche dall’agilità ritmica del testo. Torna così per parlarcene e di nuovo ospite gradito de Il Fondo, Ippolito Edmondo Ferrario che ha da subito accettato l’invito, nonostante fosse in meritata vacanza. A lui e ad Alex Pietrogiacomi, responsabile dell’ Ufficio Stampa della Castelvecchi, il migliore dei ringraziamenti.
Ippolito, apriamo subito con la domanda classica e di rito: Musica alternativa. Perché questo aggettivo? E quali la sua eredità ed attualità?
Alternativa a un sistema culturale che escludeva qualsiasi espressione che non fosse conforme a certi canoni culturali e politici imposti, al di fuori dei quali non si poteva andare e se lo si faceva si andava incontro alla ghettizzazione quando andava bene. Non mi piace pensare ad un’eredità della musica alternativa perché la musica per certi aspetti non ha tempo. Già buona parte della destra da decenni lotta per spartirsi una cosiddetta eredità (del fascismo?) da spartirsi in un’eterna lotta che causa frammentazioni e che vede di volta in volta eredi più degni di altri in una lotta che sa di necrofilia. Visto che quasi nessuno dei ragazzi che allora cantava è ancora morto (in molti si staranno toccando ora…), direi di lasciare da parte il termine eredità. La musica alternativa va ascoltata nella sua vasta produzione, può piacere o meno, ma prima di tutto è musica, un qualcosa che emoziona, che smuove quella parte irrazionale che abbiamo dentro e che nello specifico ha avuto il pregio di condensare ideali, esperienze, storie personali in note ancora oggi attuali.
Chi sono, per chi non lo sapesse, i ragazzi “topi neri” dei “covi neri” e cosa hanno cercato di realizzare nella loro musica e con le loro canzoni? Musica e Militanza… belle “M” insieme….
I ragazzi di allora altro non erano che militanti, ghettizzati, che come i loro coetanei dall’altra parte delle barricate avevano la necessità di esprimersi come si può esprimere un ragazzo: manifestando, scrivendo, cantando, uscendo soprattutto allo scoperto. Con la differenza che i giovani neofascisti non avevano la possibilità di usufruire degli stessi spazi dei “compagni” quando andava bene, e nella peggiore delle ipotesi ancora prima di pensare ad una qualche forma di espressione politica e culturale, dovevano pensare alla propria incolumità fisica. Non parlerei quindi di ragazzi con la vocazione dell’artista come la intendiamo oggi, ma di ventenni ribelli, anticonformisti, desiderosi di far sentire la loro voce in un mondo che non li accettava al di là di quello che avevano da dire. Non dimentichiamo, tanto per citare un esempio lampante, che in quegli anni un consiglio comunale di una città come Milano applaudiva alla notizia della morte del giovane Ramelli, dopo giorni di agonia. E questo la dovrebbe dire lunga sulla cappa di odio che impregnava la società.
Mi piace la frase di pag. 10: «È infatti solo rompendo i tabù e superando i pregiudizi che si potrà finalmente iniziare a scrivere una Storia d’Italia possibilmente completa e, perché no, magari anche condivisa». Che dici, si potrà fare?
La speranza è questa, che a distanza di anni si impari a utilizzare la necessaria lucidità per analizzare fatti che appartengono alla nostra storia condivisa, che hanno attraversato le vite, anche indirettamente, di moltissimi di noi. Comunque personalmente vedo questa meta ancora lontana causa la dilagante ottusità che permane in molti ambienti, dettata dai cosidetti cattivi maestri ormai decrepiti, ma raccolta comunque senza senso critico dalle nuove generazioni. Comunque già il fatto che stia fiorendo in questi anni un grande interesse per gli anni Settanta lo trovo un segnale positivo e interessante.
MSI punto di partenza…. e di rottura… rotture…. in tanti sensi
Certo l’MSI era un po’ la grande madre, l’orbita intorno alla quale molti militavano. Ho sentito in questi anni le storie di moltissimi ragazzi che vi entravano per poi esservi espulsi poco dopo ripetute volte. Di certo era un partito che soffriva di quella mentalità burocratica e dispotica di tutti gli altri partiti, con la differenza che i militanti del partito, rispetto agli altri, erano un popolo decisamente vivo e variegato, in continuo fervore e non certo paragonabile ai militanti democristiani o ai comunisti che erano avvezzi a certi diktat di impronta filosovietica. È chiaro che negli anni Settanta i giovani neofascisti avevano un forte senso critico nei confronti del partito e dei dirigenti che a volte li proteggevano e a volte li abbandonavano a sé stessi. La necessità di cercare una comunità, un qualcos’altro che andasse al di là di una semplice tessera era una necessità fisiologica. La storia ha poi dimostrato che già allora molti cominciavano ad annusare puzza di bruciato e a rendersi conto che anche questo partito che per anni aveva dovuto guadagnarsi il diritto di esistere cominciava a far parte del Sistema come gli altri.
Sangue, sangue…. anni di piombo, del nostro piombo. Molti tendono a dimenticare, altri a perdonare. Tu cosa mi dici?
Ti dico che io non li ho vissuti e quindi la mia opinione è quella di un ragazzo che in quegli anni nasceva e che solo a distanza di decenni vi si è avvicinato per interesse personale. Credo che fossero anni terribili, anni di sangue, ai quali non si può guardare con rimpianto. Troppi ragazzi morti, stragi, innocenti ammazzati in nome di un’idea. Sinceramente non trovo una giustificazione. E dietro a questa scia di sangue c’era il grande mostro, uno Stato “sporco”, stragista, che ancora oggi si nasconde dietro al Segreto di Stato. Anni terribili dunque, folli, che però per molti non sono stati solo morti ammazzati fortunatamente. Non c’è solo il lato negativo, c’era anche un grande entusiasmo, un fervore culturale giovanile, una voglia di cambiare il mondo che oggi sembra un po’ estinta. Nelle canzoni della musica alternativa non c’è infatti solo il ricordo dei camerati caduti, ma anche gli amori sbocciati, l’ironia, l’umorismo. In fondo anche questo momento di appiattimento generale e di lavaggio del cervello massificato è terribile a suo modo, e chi vi resiste cerca di cogliervi degli aspetti positivi.
Campo Hobbit, critica e revisione. Unico ed irripetibile. A te la parola
I campi Hobbit sono stati la realizzazione di quella gioventù che voleva scavalcare gli steccati, abbattere il sistema, portare la “fantasia al potere”, magari all’ombra di una celtica, cantando di antiche tradizioni e rivendicando un amore per l’ambiente e una cultura ecologica che hanno “venduto” come unico appannaggio dei sessantottini e dei loro eredi. Quei giovani avevano tutti contro, a cominciare dalla cosiddetta società civile, ad eccezione di pochi dirigenti del partito che vedevano in loro una svolta generazionale imminente, necessaria e rigeneratrice.
E adesso vogliamo i nomi, i generi ed i gruppi (i “nostri” gruppi) presentati meravigliosamente nel libro. Chi più hai amato? Io Massimo Morsello.
Ne ho amati tanti, e ne continuo ad amare molti perché questo libro nasce, per il sottoscritto, dalla voglia di raccontare una musica che ho sempre ascoltato, senza escludere anche la musica più o meno commerciale. Ho iniziato ad ascoltare quasi casualmente la musica alternativa nel 1986 quando mio padre in macchina aveva alcune registrazioni artigianali fatte quando la milanese Radio University trasmetteva. Ricordo canzoni entusiasmanti come “Sulla strada” della Compagnia dell’anello, “Terra di Thule”, gli Janus con la cattivissima “Manifestazione non autorizzata” , Fabrizio Marzi che cantava la mitica “Canzone per l’Europa” e gli Amici del Vento con “Trama nera”. Morsello musicalmente l’ho conosciuto purtroppo solo di recente, ma senza dubbio è autore di bellissime canzoni. Qualche nome dunque te l’ho detto, e poi mi vengono in mente tantissime altre canzoni, da Michele di Fiò, agli Zpm. Ricordo che ascoltavo questa musica da ragazzino un po’ come un carbonaro, quasi di nascosto, chiedendomi dove potessi reperire gli album e se altri come me l’ascoltassero. Poi qualche anno dopo avvicinandomi a certi ambienti politici ho scoperto che fortunatamente non ero l’ultimo fan della musica alternativa, ma essa sopravviveva e circolava viva e vegeta.
Ancora: emittenti radiofoniche legate alla Destra? Ottimo fenomeno di autogestione
Le radio libere veicolarono tantissimo la musica alternativa, probabilmente senza le radio di allora la musica alternativa sarebbe rimasta pressoché sconosciuta e non sarebbe filtrata così capillarmente nelle coscienze dei militanti, sedimentandosi e diventando patrimonio comune. Solo le radio libere meriterebbero un libro a parte. Le radio libere di allora erano un esempio di impegno personale, di sacrificio, di voglia di fare nonostante la fatica e anche il pericolo di uscire allo scoperto. Cose oggi impensabili e non credo più ripetibili.
Voci femminile dell’ambiente?
A parte Andreina Tomada, non saprei chi inserire. Forse è il caso di passare alla prossima domanda…. Non vorrei passare per maschilista!
Chi sono i co-protagonisti del capitolo XV? E sulle case discografiche, archivi e siti internet?
I coprotagonisti sono quei militanti che magari composero poche canzoni e che interruppero la loro esperienza musicale in un breve arco di tempo. Uno per tutti Renato Colella che però compose la bellissima “Altaforte”, canzone che rimane una delle più belle della musica alternativa tutt’ora conosciutissima e amata. Per quanto riguarda la salvaguardia di questo patrimonio umano, culturale e musicale, non si può non citare l’archivio Lorien di Guido Giraudo e Claudio Volante che grazie a internet ha messo a disposizione una vastissima quantità di testi, canzoni, immagini che sarebbero pressochè andati perduti e che ha preservato nel tempo. Lorien praticamente è andato avanti in questi anni con tanti sacrifici personali dei responsabili che continuano a tenerlo vivo. Poi in rete sono sorti altri siti interessantissimi, ad esempio Canti Ribelli e altri. Diciamo che la volontà di raccontare questo ambiente e la sua musica non è finito, ma è vivo e vegeto.
A conclusione, il domani appartiene a noi? A chi? E il canto sarà veramente libero un giorno?
Il domani è frutto delle nostre scelte, dei nostri comportamenti. È difficile dare una risposta senza entrare nell’ambito strettamente politico dal quale preferisco tenermi il più lontano possibile, ma una battuta la faccio. Se qualcuno che negli anni 70’ cantava questa canzone, intendendo “Il domani appartiene a noi” come il raggiungimento del Potere e delle stanze del Comando, il sogno si è avverato. Questi illustri personaggi oggi riempiono le pagine dei giornali, hanno portavoce, portaborse, auto blu e una certa dose di arroganza ma, non credo, cantino più le canzoni di quegli anni. Ad eseguirle senza vergognarsene ci sono ancora loro, i vari Marzi, Lombroni, Bortoluzzi, Venturino, Scaravelli, gli autori, gente che non ha mai sconfessato nulla, che magari con gli anni si è anche politicamente “moderata” ma che non ha mai rinnegato il proprio passato. E questo non è da poco. Per loro il canto rimarrà sempre davvero libero.