Rassegna Stampa

28 aprile 1945, Mussolini assassinato

Testata: IL GIORNALE D'ITALIA (online)

Data:26 aprile 2014
Autore: Emma Moriconi
Tipologia: Citazione

Locazione in archivio

Stato:Rivista completa
Locazione: ASDI-Archivio digitale RS,Il Giornale d'Italia,IlGiornaledItalia_20140426

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Strana stirpe, quella italiana, che festeggia una sconfitta e chiama "liberatori" coloro che hanno gettato grappoli di bombe sul suolo patrio

"Quelli che hanno vissuto nella sua gloria, e sotto la sua stella hanno camminato, quelli che gli hanno detto 'Tu sei la storia' sono gli stessi che poi l'hanno tradito". Così Leo Valeriano cantava la sorte di un uomo agli albori della musica alternativa di destra. È una canzone triste, amara. Perché ciò che avvenne in quel 28 aprile del 1945 è qualcosa che ha fatto calare il sipario su un pezzo importante della storia d'Italia. Un sipario che gronda ancora sangue e lacrime.

Per due decenni gli italiani hanno inneggiato ad un uomo solo, hanno invocato il suo nome, lo hanno applaudito, lo hanno venerato. Egli aveva restituito ad un popolo l'orgoglio e la dignità, ai contadini la terra, alla terra la rigogliosità, agli operai i diritti, alle mamme la tutela, ai bambini l'istruzione e le cure, ai malati l'assistenza, ai soldati l'onore, ai giovani la speranza. Egli era nato in una piccola realtà rurale, era figlio di un fabbro e di una maestra elementare, era uno del popolo in mezzo al popolo. Egli aveva riportato Roma alla gloria, aveva riformato ogni settore della vita pubblica della Nazione, aveva reso l'Italia un Paese rispettato dal mondo intero. Per questo gli Italiani lo avevano amato in una maniera viscerale, unica nella storia. Nessun uomo fu mai amato dagli Italiani come Benito Mussolini. E forse proprio in questo grande amore sta la radice del grande odio che poi è sopravvenuto: entità strana, il popolo.

Scrive Pino Rauti nel suo "Benito Mussolini": "Chi non ricorda? Bastava aprire una radio in qualunque giorno di quei primi del '45: da Mosca e da Washington, da Londra e da Bari, dalle capitali e dai paesi di tutto il mondo ed anche da quella Roma cui solo nove anni prima, egli aveva annunciato, in una sera di entusiasmo delirante, la nascita di un Impero, per le onde inquiete dell'etere, convergevano sull'ultimo bastione del Fascismo , gli insulti, gli odii, le accuse di cinque continenti; su quel bastione, solo poco più di una schiera di adolescenti restava in armi, armata più di fedeltà che di mezzi, più di poesia che di ragioni, più di volontà che di speranze e, sopra di essi, l'uomo più amato e più odiato di tutta la storia d'Italia [...] Ora la sua giornata terrena si concludeva, mentre l'Europa ardeva tutta in un gigantesco rogo e una marea d'acciaio dilagava da occidente e da oriente a strozzarne gli ultimi palpiti [...]. Come nelle fantasie dei poeti, egli tutto aveva conosciuto e sperimentato e sofferto, di quanto la lotta politica, il comando e il potere riserva agli uomini che sono nati per essi, come nel più bel canto di Alcyone, egli poteva dire al suo demone che egli non aveva dato né riposo né tregua, in cinquant'anni di lotte e di battaglie, che l'armi e i polsi erano di buona tempra, anche se greve era l'umano lezzo e vile, talvolta, come di mandre inerti, anche se proprio al meriggio di tanta vita la turba era più che mai 'una chimera opaca e obesa che putiva forte'. A riscattarla valevano le mille volte gli ultimi canti dei fedeli, belli perché inutili, sinceri perché senza speranza...".

Era un giorno di primavera, era un giorno di aprile. "Ci fu una donna con uno sguardo ardente - canta ancora Leo Valeriano - che lui fosse potente non le importava. E lo seguì fin dove la vita è niente. Per lei era soltanto l'uomo che amava. E insieme a lui donò la propria storia senza nemmeno essere processati, lasciando un solco cupo nella memoria di giorni che abbiamo dimenticati".

Quei giorni di primavera. Poche ore prima gli italiani avevano salutato le truppe americane che avevano risalito la Penisola appellandoli come "liberatori". Strano popolo, quello italiano. Che festeggia l'anniversario di una guerra che ha perduto e acclama chi ha scaraventato sul suolo patrio grappoli di bombe. Strano quel popolo che dopo settanta anni mantiene in piedi una "festa" e la chiama "liberazione" nell'anniversario del giorno in cui si è arreso al nemico.

"La giustizia gettiamo via in nome della democrazia - canta con amarezza Leo Valeriano - Penzola lì nel vuoto quel crocifisso, appeso per i piedi alla sua sorte di amare invano ed essere odiato tanto. Chi potrà mai vantarsi della sua morte? La libertà non vedi in viso, il sangue macchia il suo sorriso. La libertà. Ma quale libertà?".



I misteri che avvolgono le ultime ore di vita del Duce: cominciamo oggi la ricostruzione della vicenda

Quei giorni sono ancora un giallo: molte le domande senza risposta

L'individuazione, la cattura, Claretta e Rachele, i dubbi su quella che per decenni è stata considerata la versione "ufficiale" della morte di Benito

Molti misteri avvolgono le ultime ore di vita di Benito Mussolini: dove stava andando in realtà quando fu fermato dai partigiani? Perché indossava una divisa tedesca? Si era mescolato con i tedeschi per sfuggire ai partigiani? Era prigioniero dei tedeschi? Meditava di consegnarsi agli alleati? Cosa conteneva la borsa di pelle dalla quale non voleva separarsi e che portò con sé nel suo ultimo viaggio? Quale è stato il vero ruolo di Marcello Petacci nella vicenda? Perché l'assassinio di Claretta? Perché i partigiani presenti all'assassinio del Duce diedero di quell'atto una versione così difforme dalle prove successivamente acquisite? E ancora, e qui sta il nodo della vicenda, cosa sarebbe successo se quei documenti così gelosamente custoditi fossero venuti alla luce?

Andiamo con ordine e cerchiamo di ricostruire quelle ore: la colonna tedesca con cui viaggia Mussolini viene fermata a Musso, nei pressi del Lago di Como, dai partigiani della 52esima brigata Garibaldi. I partigiani riconoscono Mussolini e lo fanno scendere dalla macchina. Il Duce indossa un cappotto tedesco.

A prendersi il "merito" di aver riconosciuto Mussolini saranno in molti. Enea Mainetti "ricorderà" : "Guardo e scorgo un soldato con un pastrano tedesco. È in piedi presso il camion, ha l'elmetto e il mitra. Torno a guardarlo. Dalla mascella inferiore prominente, dal portamento, lo riconosco inequivocabilmente: 'Credo di non sbagliare, è Mussolini!', dico al capitano Barbieri". Vincenzo Mottarella invece sostiene che solo grazie alla sua scrupolosità si giunse alla fatale identificazione: "Io sono lì ad osservare come si effettua questa perquisizione: mi accorgo che è molto superficiale, tanto che non si chiedono neanche i documenti agli occupanti. Allora unitamente a Ugo Torri, pescatore, domandiamo di poter fare un terzo controllo con maggiore scrupolosità".

Il racconto di Giuseppe Rubini: "L'ex marinaio Giuseppe Negri a un certo momento dell'ormai lunga, vana fermata, capitò di fianco alla testata destra del camion numero 34. Postosi ad osservarla, finì con l'intravvedere un uomo apparentemente addormentato. Con stupore e inquietudine finì col dubitare di riconoscere nello sconosciuto nientemeno che Mussolini. Tacque e si limitò a fare un cenno con gli occhi all'aspettante maresciallo della Finanza Francesco Di Paola, per incitamento del quale si era arrampicato sulla sponda della vettura, e poi si allontanò di un cinquanta passi nella folla, cercando un aiuto, finché si imbatté a caso in "Bill", luogotenente del comandante della 52esima brigata partigiana Garibaldi, "Pedro", col quale si confidò, sicché entrambi corsero tosto al camion [...] Ad un tratto esclamazioni, voltata generale verso l'angolo anteriore destro, cenni di contenuta agitazione, principio di tramestio, taluni che saltano a terra...".

Una gara, a chi riesce meglio a mettersi in luce. Del resto, tutti hanno vissuto della sua luce riflessa. È accaduto lungo i venti anni del Fascismo, accade ora che è un prigioniero di guerra. Accadrà anche dopo morto. Accade anche oggi, ogni giorno.

Ma torniamo a quel 27 aprile. Qualcuno chiede: "Non siete italiano, voi?". "Si, lo sono". "Il Duce! Mussolini! Abbiamo preso Mussolini!". Il Duce ordina ai soldati di non difenderlo.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, nel Municipio di Dongo sono prigionieri anche i gerarchi, Claretta e Marcello Petacci. "Riunitemi a lui - chiede Claretta a "Pedro" - Molti credono che sia stata con lui per ambizione, per avere onori e ricchezze... Non è vero. Mi sono sacrificata per lui, ho cercato di fare il suo bene. Se Mussolini deve morire, voglio morire con lui..."

In queste ore drammatiche in cui emerge la figura tragica di Claretta Petacci, c'è un'altra protagonista silenziosa di questo dramma: si chiama Rachele Guidi, la signora Mussolini. Che resta come una figura stagliata sullo sfondo, discreta, che piange lacrime mute, che nessuno sente, di cui nessuno parla. È rinchiusa in una cella nel carcere di Como. Molte sofferenze hanno contrassegnato la sua vita sin qui. Molte altre ne dovrà patire. Il suo è un dolore silenzioso, ma totalizzante. È la moglie del Duce, che tante volte gli è stata vicina, nei momenti difficili, tanti, della sua vita con lui, e che ora non può fare nulla, più nulla per il suo uomo.

Claretta si riunisce al suo Benito, insieme vengono condotti a casa De Maria, una cascina in campagna, a Giulino, frazione di Mezzegra. I coniugi De Maria riceveranno duemila lire quale pagamento per "il disturbo".

L'assassinio di Benito Mussolini e Claretta Petacci è stato per decenni "raccontato" in un certo modo: prove inconfutabili dimostrano che la versione considerata fino a qualche tempo fa come quella "ufficiale" non è di certo la verità. È la materia della prossima puntata dedicata a questo speciale.


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