CAMPO HOBBIT / MUSICA POLITICA
Dimensioni: cm 21 x 29,7
Stampa:Autore Walter Jeder
In archivio:Fotocopia
Numero Pagine:6
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Bozza di articolo scritto per l'Alternativa con un resoconto sullo svolgimento di Campo Hobbit 1. TESTO DELL’ARTICOLO "I vostri comizi non mi interessano. Le vostre conferenze stampa non fanno notizia. Ma Campo Hobbit mi fa paura" Questa confessione che non ha trovato, ovviamente, posto nelle righe di piombo che la stampa di regime ha allineato per raccontare attraverso la consueta lente deformante il I° Campo nazionale della gioventù è stata estorta ad un inviato di un settimanale milanese. Un attimo di debolezza che ha lasciato trasudare quattro spiccioli di verità. La preoccupazione dei fabbricanti dicoscienze addetti alla carta stampata, è stata forse il migliore riconoscimento che Campo Hobbit poteva aspettarsi. Sulla qualità della “paura” chiamata in causa dal non troppo anonimo giornalista, è bene dire subito chiaro per essere capiti a dovere. Non era certamente la paura fisica derivante dall’assembramento minaccioso costituito da duemila militanti dal comportamento inappuntabile ed esemplare che aveva consigliato alle patrie questure di mobilitare un esercito di poliziotti e carabinieri. Né tantomeno quello delle possibilità di uno scontro con la "collera” antifascista locale gagliardamente rappresentata dalla poderosa manifestazione di protesta che ha avuto per protagonisti (diconsi trentuno) comuni stelli fatti confluire dal circondario. "Paura” fuori luogo anche per i fabbricanti di trame nere appollaiati con i loro teleobbiettivi sui tetti delle case vicine nella vana speranza di poter inquadrare un summit di neonazisti latitanti. Di che specie di paura parlasse il nostro democratico interlocutore è presto detto. Paura dell'utilità di Campo Hobbit, prima occasione emergente di un modo nuovo e terribilmente efficace di fare politica e cultura senza inviti in abito scuro in qualche prestigioso hotel della capitale. Quello che ha costretto un certo numero di cronisti di regime e le cautissime troupes televisive di TG1 e TG2 a spingersi fino all'assolato campo sportivo di Montesarchio è stata la netta convinzione che la destra abbia imboccato un circuito realmente alternativo per parlare ai giovani, attraverso la loro diretta partecipazione, della loro condizione e del loro ruolo in questo paese sempre più alla deriva. La stizza puerile che,spinge Lamberto Sechi, direttore di Panorama, ad accusarci di avere tentato anche noi la strada delle “robe” intellettuali come gli altri, come quelli della sinistra è una ulteriore conferma di aver colpito nel segno. L'aspetto più vistoso dell'appuntamento beneventano, quello che ha fatto più notizia, è stato naturalmente quello della musica politica. Se i compagni avessero avuto, l'umiltà di documentarsi meglio aavrebbero comunque scoperto senza troppe difficoltà che si trattava di un discorso non nuovo in assoluto per la nostra; parte. Ma non vale la pena di spendere .altro spazio per questo improbabile confronto di intelligenze. Il problema deve essere invece posto all’interno del nostro mondo umano affinché il clamore sollevato da Campo Hobbit non si riduca a un isolato ed esaltante episodio di folklore politico. Non ci sembra il caso dì ripetere accora una volta la convinzione che sta dietro allo slancio indirizzato nella direzione di un .repertorio musicale nostro, la certezza che questo sia capace di racchiudere un discorso sull'uomo e sulle sue idee. Nè'di ripetere come la nostra gente abbia sete di bandiere e di campi per spezzare il grigiore imposto da troppi atteggiamenti burocratici o perdenti dei professionisti del tran tran politico. Né la forza tremenda, la facilità di entrare nel costume (e più dentro nell’anima) di una frase musicale. La destra, come dicevamo, aveva imboccato la strada della canzone cabaret oltre quindici anni fa puntando sulla- forza corrosiva della satira politica. Una formula ancora troppo chiusa nelle catacombe per gli addetti ai lavori. I politici, i giornalisti certa borghesia romana. Si era andati oltre con tentativi minimi di produzione discografica malamente distribuiti. Ma non si era usciti dagli episodi stimolanti e sfortunati, decisi sempre dalla consueta povertà di mezzi. Bisognava fare sempre i conti con una modestia organizzativa una incapacità di tenere livelli professionali che troppo spesso diventava l'alibi per non fare niente in modo più serio. In questo tunnel, fra slanci e incomprensioni, è nato ed è tramontato per parlarci chiaro, quel grosso fenomeno musicale, che è andato sotto il none di Leo Valeriano. La nuova ondata quella che ha reso possibile la nutrita partecipazione a Campo Hobbit è coincisa non per caso con il dilagare delle radio libere. Dalla sentenza della Corte Costituzionale del luglio dello scorso anno ad oggi la proliferazione delle emittenti di destra è divenuta un fenomeno che ha assunto dimensioni veramente notevoli. Il gusto molto spesso spontaneo e volontaristico di fare una radio-contro ha creato spazio, una vera e propria domanda, per canzoni nostre destinate a saturare gli spazi musicali. Di qui un diverso impegno a fare musica nella certezza di poter godere di buone fasce di ascolto, uscendo dall’idea di un prodotto fatto e consumato in casa. In tal modo le nostra radio hanno spinto la richiesta di canzoni di lotta e nello stesso tempo ne hanno amplificato la diffusione. I gruppi musicali nascono così attorno alle radio e vi trovano ospitalità. Fate qualcosa, agitate in qualche modo le acque le acque dello stagno e provocherete inevitabilmente le reazioni dei contestatori di tutto, una categoria umana prossima ai nullafacenti e ai mediocri. Appena i temi delle nostre canzoni acquistano nuova risonanza ecco infatti saltar fuori qualcuno che strilla contro questa manovra di “scimmiottamento” dei riti della sinistra. E’ una grossa balla l’andare sulla scia è collegato soltanto alla realtà pratica di strumenti che i rossi hanno avuto da sempre e che noi oggi solo riusciamo ad impiegare. II problema dell’originalità non si pone: ci sono radici musicali nostre, che appartengono alla tradizione dei popoli europei, dai canti vandeani e provenzali ai kreuzlied fino alle più recenti espressioni di musica popolare mediterranea che i condegni hanno parafrasato con la solita operazione di snaturamento, deformando autentica poesia popolare a slogans politici. Le nostre canzoni di lotta più recenti risentono per la verità in qualche caso dì frettolose orecchiature di Dylan e Guccini: è un limite legato all'improvvisazione sugli accordi fondamentali cercati rabbiosamente sulla chitarra, la ricerca di una musica facile perché questa diventi patrimonio di tutti, canti di battaglia che si facciano cantare dalla nostra gente (stonati inclusi) senza restare patrimonio esclusivo di musici e cantori. Campo Hobbit non è stato né un festival pop ne un festival di Sanremo. Niente spazio per una sola categoria musicale o per certi culti narcisistici, perciò niente classifiche di merito. Ma è giusto parlare dei protagonisti musicali della manifestazione. Cercando di individuare allo stato attuale, le tendenza che fin cui siano stati capaci di esprimere. Siamo perciò al di fuori dell'intenzione di distribuire piatenti artistiche riferendo dell'apoteosi degli Amici del Vento che hanno avuto il merito di proporre, con un lavoro certamente avanti sulla media generale, testi molto validi e originalità di temi musicali. Carlo Venturino, autore di testi e i suoi camerati, hanno cantato storie vere della Milano dalla spranga facile, storie amare sempre intrise di una venatura caustica che ci parlano dell’aborto, dei gulag sovietici, dei nostri detenuti politici, della quotidiana trama nera indicando anche un nostro modo di essere diversi. Gli Amici del Vento hanno scritto delle canzoni fortemente suggestive nella convinzione che il pathos e l’inevitabile identificazione siano la formula più giusta per entrare nel cuore dei giovani e lasciarci il segno. Fabrizio, ultimo acquisto del gruppo che si riferisce all’emittente milanese Radio University, rappresenta il tentativo di trovare una voce diversa, come timbro e impostazione a quelle già conosciute nell’ambito della canzone nostra. Una voce alla De Andrè ha scritto la stampa. Fabrizio non è d’accordo con l’etichettatura: ha cantato una canzone inedita dedicata all’Europa: una denuncia della nostra condizione di europei che qualcuno ha condannato a servire stracci rossi o a stelle e strisce. Ma la chiusa è vincente aperta alla speranza. Al campo “Canzone per l’Europa” ha attecchito subito e si è confusa con altri motivi di presa immediata come la divertente ballata di “Trama Nera” o la marcia incalzante di “Europa Nazione” del gruppo napoletano "Vento del Sud”. Peccato che un loro testo, poco felice in verità per un’ostentata truculenza di stile quasi miliziano, sia servito alla stampa di sinistra per avvelenare l’immagine di Campo Hobbit. Resta intatta però la forza del loro piglio tutto partenopeo, l'uso efficace del dialetto , l’improvvisazione travolgente di una "tammuriata” dove i camerati di Napoli ridicolizzano i loro avversari e "linciano” una cesta figura di sbirro zelante di loro conoscenza. Renato Colella di Avellino, si è impegnato nell’arduo compito di rivestire di note alcune tra le più belle poesie di Ezra Pound. Adattare alla metrica musicale senza snaturarne la dignità la celebre sestina di Altaforte non era cosa da poco: il ragazzo di Avallino ci è riuscito degnamente. Marina di Roma (una voce molto personale), Enzo Matarazzo di Benevento (modestia e assieme sicurezza nell'esecuzione) e il piemontese Aldo Vigliarolo hanno presentato - tra le altre- alcune canzoni inedite. L'esibizione di Roberto Scocco, già conosciuto per la diffusione della sua cassetta"bella scrittura" era tra le più attese. L'aspettativa non è andata delusa il cantautore maceratese ha riproposto tutto il suo repertorio con una professionalità che non ci aspettavamo rendendo giustizia alla sua produzione. Con la sua esecuzione dal vivo .infatti ha la registrazione non troppo valida dei suoi pezzi attualmente in circolazione. Scocco è piaciuto comunque più come cantante di ricerca dialettale che come cantante sospeso tra cronaca e protesta. Lo stile graffiante, la voce aggressiva e personale Andreina, notissima fra i camerati romani ha raccolto molti applausi con la sue canzoni vibrate come schiaffi contro la borghesia di sempre, quella della pancia piena del buon senso vigliacco, del chimelofafare. Il gruppo di alternativa teatrale del fuan di Roma ha letto con semplicità, ma reale partecipazione alcune pagine di Brasillach e lettere di caduti della RSI. La Compagnia di Canto Popolare del Sannio invece ha proposto il risultato di un appassionato lavoro di ricerca, compiuto microfono alla mano nelle campagne del Sud. Le canzoni che ci ha proposto erano tutte sia strumentalmente che localmente a un livello di verità è di credibilità veramente molto alto, Splendido ci è sembrato il rifiuto di manipolare la forma tradizionale delle musiche per renderle più appetibili al gusto contemporaneo. II secondo gruppo "napoletano" il Gruppuscolo” si è cimentato in un collage di quadri stile teatro cabaret. “Napoli n’ata vota” ci è sembrata una prova superata molto bene in virtù assai più della naturale mimica e vis comica degli interpreti che dei copioni ancora troppo fragili. Attesissimi, per l'unicità del genere nel nostro ambiente e anche per la defezione di un gruppo di oltralpe, gli Janum una formazione romana portabandiera del rock puro alternativo, nazional-rivoluzionario. Nonostante qualche bisticcio con l'amplificazione la performance degli Janum è stata piuttosto buona. Anche le loro chitarre hanno promesso guerra al regime e ai monopoli putrefatti della musica cosiddetta alternativa contemporanea. Il rock - secondo loro - parla il linguaggio di una rabbia che da Kerouac in poi non è mai stata racchiusa da un cartoccio di menzogne dipinte di rosso. Il compito di chiudere il Campo è toccato alla Compagnia dell’Anello. Peccato che il pubblico che ha applaudito il gruppo di Padova fosse già stato decimato da molte partenze. Chi è rimasto ha ascoltato delle belle canzoni inedite: ben costruite come musica e testo. Storie rese più solide dall’aggancio al1a cronaca come quella del militante francese arso vivo nella sede della compagnia aerea Sovietica a Parigi e o quella che tenta una nostra chiave di lettura per la rivolta degli atenei. Ancora parole di lotta mentre si ammaina la grande croce celtica di Campo Hobbit e già si lavora al progetto del prossimo impegno ancora una volta severo ed entusiasmante, al solito lontano dal gallinaio dei detrattori a tassametro che si affannano nelle retrovie della nostra meravigliosa avventura politica. WALTER JEDER