Cabaret la storia mai scritta - Berlin il grido
Testata: SECOLO D'ITALIA
Data:26 agosto 1995Autore: Leo Valeriano
Tipologia: Specifico
Locazione in archivio
Stato:OriginaleLocazione: ASMA,RS2-0008 (RS6-0001),17 (11)
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Capitava molto spesso di fermarci dopo lo spettacolo a provare canzoni nuove o semplicemente a parlare. Un po’ alla volta superando il mio istintivo senso di diffidenza nei confronti di chiunque, comincia a parlare del mio passato prossimo. Quando gli raccontai la mia storia, Luciano mi consigliò “Perché non fai un’azione dimostrativa contro il muro di Berlino.. magari con una canzone?” Non ero mai entrato in un’ottica del genere e non sapevo cosa avrei potuto fare, ma presi lo stesso contatti con l’Associazione Italia Germania che organizzava spesso viaggi nella città tedesca. Quello era il periodo in cui attorno e accanto al muro di Berlino la polizia politica del regime comunista ogni giorno assassinava due o tre fuggiaschi che semplicemente avevano scelto la via della libertà. Ci furono episodi di eroismo incredibili. Ricordo di aver conosciuto un certo Peter Neumann che sfidava abitualmente i Vopos attraversando a nuoto la Sprea il fiume di Berlino, che aveva in certi punti la finzione del muro. Un giorno purtroppo era stato sorpreso da una pattuglia e come ricordo di quell’incontro conservava una lunga striscia diagonale che gli attraversava il petto e che era il risultato di una raffica di mitra. Ciononostante erano riusciti a salvarlo. Gino Ragno era il presidente dell’Associazione italo-germanica e si dimostrava sempre attento a certe proposte. Parlando con lui mi venne l’idea di cantare una ballata che trattasse del muro di Berlino, sul muro stesso. L’idea piacque moltissimo a Ragno e fu lui che organizzò la manifestazione convocando alcuni fotografi e giornalisti. E così al Check Point Charliy, uno dei più importanti punti di passaggio tra le due Berlino, salito su una specie di trespolo, quella notte del Natale 1965, illuminato dai fari della Volkpolizei e con i loro mitra puntati contro di me, cantai la canzone che avevo composto proprio per quell’occasione. Il freddo gelido mi pungeva il naso e le orecchie e le mani mi si erano quasi intorpidite. Il vento che tagliava l’aria con raffiche glaciali, portò le parole e la musica al di là del m uro, nella terra del socialismo reale.
La Friederichstrasse era proprio la strada che traversava il muro e che aveva visto la morte di tanti giovani che tentavano di fuggire dall’oppressione comunista. Brandeburger Tor è la Porta di Brandeburgo, simbolo della città che i comunisti avevano tagliato fuori dal mondo occidentale, insieme alla meravigliosa Unter del Linden, annettendola allo stato fantoccio di Pankow. Peter Fechter fu il primo ad essere abbattuto con una raffica di mitra dalla Volkpolizei, la polizia politica del regime comunista. La sua tomba era proprio sotto il muro come monito e memoria della barbarie che si esercitava al di là di esso. Harri Seidel è un ex campione del ciclismo che in quel periodo era ancora in prigione, la cui moglie incontrai proprio a Berlino, e che alla fine riuscimmo a far liberare. In effetti questo canto era molto più lungo e ricordo che una notte mentre lo stavo provando sul palchetto del Bagaglino venni assalito furiosamente da Piero Palumbo che con i lineamenti fortemente alterati, mi prese per il bavero urlandomi che certe canzoni non solo non le dovevo cantare ma non le dovevo cantare, ma non le dovevo neanche pensare. Intervenne Luciano Cirri al quale poi chiesi spiegazioni. Mi disse che visto che nella versione originale che stavo cantando, erano menzionati l’aquila e l’orso, Palumbo aveva creduto che la mia fosse una canzone inneggiante al nazismo. Gli feci notare che l’aquila era il simbolo dell’attuale Repubblica Federale Tedesca e l’orso il simbolo di Berlino. Ma non servì a nulla così togliemmo la strofa che citava i due augusti rappresentanti zoologici. Nonostante questo la canzone fu inserita nel secondo spettacolo che ebbe il titolo di II Fantastorie e che ebbe un successo ancora maggiore del primo. I mesi passavano e ogni giorno che affrontavo mi arricchiva di esperienze e di conoscenze. In seguito alla diffusione delle mie canzoni, io fui etichettata dalla stampa come cantautore di protesta. Spesso venivo chiamato in qualche circolo culturale per cantare e ricordo che l’allora direttore dell’archivio fonografico italiano, mi chiese di registrare le mie canzoni per quella istituzione dove credo si trovino ancora. Ma registrai Berlin anche per Frei Rundfunk Berlin la radio libera che da Berlino trasmetteva programmi verso l’est nelle diverse lingue di quei popoli. Avendola eseguita in due versioni, la prima italiana e la seconda tedesca, veniva diffusa quasi quotidianamente nelle due lingue. Fu così che la canzone venne conosciuta molto più oltre la cortina di ferro che nei nostri paesi. Ma non dimentichiamoci che la Germania aveva enormi problemi politici e che in Italia vigeva una rigidissima censura la quale anche se attenuata esiste tuttora e non permetteva il passaggio di nessun brandello di cultura che non fosse orientato a sinistra. E mentre le mie canzoni erano così fortemente avversate, dall’America cominciavano a giungere nel nostro paese le canzoni di Bob Dylan e dei suoi emuli inneggianti a un pacifismo di comodo e che costituirono la bandiera di quello che poi fu il movimento hippy. Come immediata conseguenza, i gruppi musicali italiani si allinearono sullo stesso genere di musica. Si comprende benissimo perciò come le mie canzoni sembrassero la classica macchia nera su un foglio bianco. Comincia a conoscere i primi fastidi. Una notte uscendo dal Bagaglino dopo lo spettacolo, trovai tutte e quattro le ruote della mia Topolino 500 tagliate in modo tale da non poter più essere utilizzate. Da allora presi l’abitudine di posteggiare molto lontano e di farmi un paio di chilometri a piedi per raggiungere il locale. Mi resi conto in modo diretto, che tutto quello che mi avevano raccontato per circa vent’anni sulla democrazia e sulla tolleranza riportata dalla resistenza era una enorme balla. Pur avendo buoni rapporti con tutti e quattro gli autori, forse per una naturale affinità, seguitai a stringere una maggiore intesa con Luciano Cirri. Spesso andavo a trovarlo al Borghese dove era responsabile per l’Ufficio romano. Quando giunse l’estate chiesi a lui se avrei dovuto ritenermi impegnato anche per la prossima stagione o se dovevo considerare terminata la mia esperienza al Bagaglino. Mi fece capire che nell’ambito della direzione c’era qualche perplessità a riprendermi, anche perché tra loro c’era chi voleva scrivere in prima persona le canzoni che poi avrebbero fatto parte integrante dei testi dei vari spettacoli, ma che tuttavia avrebbe insistito affinchè io potessi partecipare almeno alla seconda parte. Si definì così quel rapporto di amicizia che sarebbe durato per circa vent’anni, fino alla sua morte. E che dura ancora