Cabaret la storia mai scritta - La "porta infame" di Napoli
Testata: SECOLO D'ITALIA
Data:13 settembre 1995Autore: Leo Valeriano
Tipologia: Specifico
Locazione in archivio
Stato:Smontato originaleLocazione: ASMA,RS2-0008,37
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Mi ero abituato a lavorare nelle stabili di cabaret. Per questo motivo quando fui chiamato a Napoli per aprire un nuovo locale accettai con entusiasmo. All’inizio proposi sempre insieme a Raf Luca i testi di Dino Verde che avevamo già collaudato all’Oratorio e in giro per tutta l’Italia poi una volta esauriti questi chiesi a Luciano Cirri di poter utilizzare i suoi copioni e fu così che la Porta Infame questo il nome del cabaret partenopeo divenne una specie di succursale del Giardino dei Supplizi. Anche alla Porta Infame il successo fu immediato io ne curavo la regia e ne realizzavo la parte musicale, oltre a partecipare come attore e per alcuni anni mi stabilii quasi definitivamente nella città del golfo. Creammo una compagnia stabile con attori presi dal posto che si dimostrarono come spesso accade nell’ambiente partenopeo estremamente validi. Tra tutti mi piace ricordare la figura di Tullio del Matto che ora si esibisce nel Teatro Stabile del Sannazzaro. Il nostro successo causò l’apertura di altri mini locali, in uno si affermava Leopoldo Mastelloni in un altro, il Sincarlino si esibivano I Carabinieri altrove nasceva Vittorio Marsiglia che con Isso, essa e’o malamente raggiunse il suo apice. Intanto anche a Palermo si organizzarono piccoli teatrini di cabaret. In uno di questi vide la luce il gruppo dei Cavernicoli mentre Michele Guardì con suo cugino Enzo di Pisa davano la vita al primo spettacolo cabarettistico prettamente siciliano. Negli anni 1970 1974 il cabaret italiano godette sicuramente del suo maggiore splendore. Ma a Napoli gli spettacoli dovevano essere cambiati più in fretta di quanto accadesse a Roma e inoltre il pubblico napoletano ci chiedeva che parlassimo anche dei loro problemi e non solo di quelli della capitale. Per questo motivo riuscimmo a coinvolgere nell’esperienza cabarettistica due giornalisti dalla penna particolarmente fertile: Giuseppe Marcello Zanfagna, coautore con Mudugno di alcune canzoni di successo. Scrissero per noi un copione dal multiforme titolo Sesso chi legge in cui la parola legge poteva essere interpretata almeno in due modi. Per la prima volta nel cabaret facemmo uso di effetti speciali di luminoteca, luci stroboscopiche caroselli mascherine e così via. Ne venne fuori uno spettacolo che richiamò tutta la buona società della Campania e del meridione. Dovunque in Italia i disordini crescevano e ci fu il caso di un carabiniere campano ucciso dai manifestanti durante una dimostrazione proprio nel centro della città lombarda. I giornali dettero poco rilievo alla vicenda. Io volli raccontarla alla mia maniera. (TESTO) Alla Porta Infame avemmo il piacere di avere ospiti napoletani di notevole rilievo, Sergio Bruni, Roberto Murolo e l’ultimo pulcinella Gianni Crosio, che ci regalò tutti i segreti della commedia dell’arte. Napoli si sa è una città meravigliosa tutta da scoprire. Riesce a dare l’idea di essere facilmente comprensibile e aperta a tutti ma è solo un’impressione. Conoscere la vera Napoli con le sue sconosciute ricchezze e le sue surreali miserie, è una delle esperienze più affascinanti che un uomo possa fare. Io debbo questo alla sensibilità di Enrico Russo infaticabile sia nell’organizzare la Porta Infame che nel sopportare gli sbalzi d’umore di una compagni anche me compreso sembrava soffrire di quel misterioso male che si chiama napolitudine. Può sembrare strano, ma a Napoli il senso oppressivo della lotta senza quartiere che il Partito comunista e le sue frange estremiste avevano scatenato in tutta Italia si sentiva di meno. Ovviamente la cronaca nazionale e internazionale arrivava anche nella città partenopea ma erano i toni del confronto a sembrare più sommessi. Mantenendo fissi Tullio del Matto e il pianista Vittorio Musella facemmo diversi cambiamenti di cast tentando sempre di portare da Roma quella che doveva essere la prima attrice. Per un’edizione riuscii perfino a far debuttare Emi Eco che con me aveva fatto parte del gruppo televisivo dei Tiribitanti, e che a dispetto del suo nome si era esibita anche al Giardino dei Supplizi. Ma qual è stata la differenze tra tutti questi tipi di cabaret? Il definirei due grandi tendenze, quella del cabaret d’attore e qualla del cabaret d’autore. In Italia una delle prime formazioni cabarettistiche era stata quella dei Gobbi con Bonucci, Caprioli e Valeri. Presentarono un loro testo che essi stessi rappresentavano. La caratteristica del testo teatrale fu poi ripresa dagli autori del Bagaglino e diffusa in tutto il centro sud. Si trattava pertanto di cabaret d’autore dove l’attore poteva inserire qualcosa di suo ma non inventava di sana pianta lo spettacolo. Viceversa il cabaret d’attore prevede un unico personaggio che sfruttando le sue capacità istrioniche conversa con il pubblico variando il testo della rappresentazione che il più della volte scrive da solo. Questa distinzione ci porta alle origini del cabaret, che mi sembrano assai remote. Senza voler finire a Plauto o addirittura alla Commedia Attica, le sue origini moderne si possono collocare in quelle taverne parigine o cambrettes, da cui il termine cabaret, che artisti e letterati come Villon, Gringoire e Rabelet amavano frequentare. Da luogo d’incontro occasionale per uno scambio d’idee e di esperienze, e quindi per la lettura di versi e brani inediti, il cabaret assunse in breve tempo la caratteristica di ritrovo spettacolo per le esibizioni di artisti e chansonnier che crearono la linea classica del genere. Quindi il cabaret nasce come teatro d’attore autore. Quello che caratterizzò questo genere di spettacolo fin dall’inizio fu una particolare vena di anticonformismo e di spregiudicatezza che ne fece la pedana ideale dei movimenti artistici e d’avanguardia tra l’Ottocento e il Novecento. Il cabaret si trapiantò ben presto in Germania dove, per la particolare congenialità dello spirito tedesco mise profonde radici. E fu lì che venne ad affermarsi e a confermarsi quella predilezione per la satira sociale, politica e di costume che ne costituisca oggi la tematica dominante. E’ così che il cabaret è diventato un genere di spettacolo molto particolare. Di forte presa sul pubblico è di massimo impegno per l’artista che deve instaurare un rapporto diretto di intensa e continua partecipazione con gli spettatori, senza poter disporre di pause e di tempi morti, e senza potersi permettere la minima caduta di tensione emotiva. Non c’è o è ridotto al minimo, lo scenario; non esiste rappresentazione, e perciò non c’è l’appoggio sul personaggio. Non c’è una trama vera e propria, ma soltanto un esile filo conduttore su cui l’artista deve procedere come su una fune sospesa nel vuoto. E’ logico perciò che questo sia diventato uno spettacolo da godere preferibilmente in ambienti piccoli, dove gli effetti sonori e luminoso, comunque sempre ridotti al minimo, possono raggiungere quella particolarissima suggestione che viene creata dall’immediata vicinanza tra artista e pubblico che spesso coinvolto, può diventare a sua volta inconsapevole attore della rappresentazione. Credo di poter affermare senza paura di essere smentito che la televisione uccide il cabaret. Le varie Bucce di banana, non possono essere considerate cabaret, ma si avvicinano di più a un altro tipo di spettacolo, sempre di origine francese: il cafè chantant! Il cabaret rimane comunque uno spettacolo di rottura di protesta. Nel cafè chantant la protesta non c’è più: c’è rassegnazione e quasi compiacimento. Ecco perché è maggiormente adatto al mezzo televisivo. Perché la televisione è un media di massa e non consente nessun tipo di concentrazione, è dispersivo e, soprattutto tende verso altri fini. Invece questo genere di spettacolo che in fondo deriva da espressioni di popolo, al popolo intende ritornare come divertente mezzo per far riflettere. Basta pensare agli spettacoli di Grillo, di Benigni e del più grande di tutti, quando è fuori dalla compagnia del Salone Margherita: Oreste Lionello. Basta ascoltare questi artisti per riscoprirne la sua radice popolare. Infatti se è vero che il cabaret è stato creato dagli intellettuali, è pur vero che ad usufruirne è stata la parte più sensibile del popolo, che ritrovava in quel tipo di spettacolo la rabbia, la malinconia, e anche l’umorismo di canti nati tra la gente comune per motivi di protesta o di gioia. In questo senso, l’esperienza napoletana con la solarità della gente e la loro voglia di sorridere ha dato un grande contributo alla storia del cabaret italiano.Nel 1972 mentre Napoli viveva la sua più fulgida stagione cabarettistica, a Roma uno spostamento di attori turbava quello che era stato fino ad allora l’equilibrio tre i diversi locali. Il Bagaglino si era trasferito al Salone Margherita dove stava mietendo nuovi successi e Oreste Lionello aveva deciso di tornare alla casa madre. Fu per questo motivo che Luciano Cirri mi mandò urgentemente a chiamare a Napoli. Quello fu l’anno in cui nascevano i primi gruppi di musica alternativa. Per questi coraggiosi ragazzi io scrissi Il Mio Testamento (TESTO)
Il clima politico si stava esasperando. L’anno precedente era morto Krusciov, il Bangladesh aveva proclamato la secessione dal Pakistan. In Italia ci furono gravi scontri alla Statale. E io chiamato da Luciano Cirri, tornai a Roma.