Cabaret la storia mai scritta - La campanella e poi…
Testata: SECOLO D'ITALIA
Data:19 settembre 1995Autore: Leo Valeriano
Tipologia: Specifico
Locazione in archivio
Stato:Smontato originaleLocazione: ASMA,RS2-0008,45
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Nel 1976 a dieci anni dalla nostra prima avventura il cabaret a cui avevamo dato vita stava morendo. Luciano Cirri
Ne era consapevole e me lo disse. Sembrava quasi che tutto un mondo si fosse ripiegato su se stesso. La destra come la intendevamo noi sembrava finita. Tutti coloro che prima inneggiavano all Destra Nazionale adesso erano diventati Craxisti. Sembrava essere lui, Craxi a poter impersonare una nuova politica di destra sinistra moderata. Erano rimasti soltanto quelli più fedeli del Msi ad ascoltare le canzoni della destra. Cominciò un periodo ancora più buio. Ovviamente io avevo anche il problema della sopravvivenza professionale per cui quando Emi Eco mi propose di aprire un cabaret tutto nostro ma che non fosse eccessivamente etichettato politicamente accettai. Nacque così L’Ideota. I copioni erano di due giovani autori siciliani: Michele Guardì e Enzo Di Pisa con la consulenza di Marcello marchesi. Lo spettacolo si intitolava Arriva il diavoleo e prevedeva un cast formato da Emi Eco, Luciana Turina, Jacques Stany, Gianni Elsner e il sottoscritto. Io ero il presidente della Compagnia ed Emi Eco la direttrice artistica. Provvidi personalmente a decorare tutto il locale con enormi pierrot seduti, in piedi, accovacciati e sdraiati. Tutta la Roma bene tornò a farsi vedere. Purtroppo o testi non erano quelli pungenti e satirici di Luciano Cirri e lui mi rimproverò per questo, pur rendendosi conto che io non avrei potuto fare niente in proposito. Infatti la combinazione si reggeva sulla mia capacità organizzativa e sulle conoscenze di Emi Eco. Il pubblico che avevamo era estremamente variegato. Venivano quelli che si ricordavano di me, magari per chiedermi Berlin o Budapest e ovviamente attratti dalla bravura, e spesso dal cognome di Emi. Tuttavia avemmo un discreto successo e altrettanto ne ebbe un secondo spettacolo con quattro attori in cui oltre Emi e il sottoscritto furono assunti Aura D’Angelo e Franco Cremonini. Dopo due anni di gestione però non essendo riusciti ad ottenere le licenze per gli alcoolici e per i superalcoolici, indispensabili in un locale notturno, fummo costretti a chiudere, Lo facemmo molto a malincuore anche percè eravamo riusciti a trovare un naturale e giusto equilibrio dovuto essenzialmente al rispetto e all’amicizia che Emi e io avevamo l’uno dell’altro. L’anno seguente il 1978 accettammo entrambi l’offerta di un finanziatore che aveva ottenuto in gestione il primitivo locale che aveva ospitato il Bagaglino e che egli aveva ribattezzato in onore della strada dove era il posto La Campanella. Formammo così un terzetto insieme ad Emi Eco e Gino Pagani- Il copione si chiamava La Barca d’Italia e fu scritto da Enzo di Pisa. Anche qui godemmo delle frequenti visite di Luciano Cirri che ci concesse l’uso di alcuni suoi brani. Ne venne fuori uno spettacolo divertentissimo formato da un testo nuovo e da brani che erano stati ripetutamente collaudati e pertanto di sicura successo. Ma il mondo della destra cominciava a disertare gli spettacoli di cabaret e non solo quelli. Al massimo si recava al Salone Margherita dove si poteva godere di spettacoli gradevolissimi ma poco pericolosi. Cera molta amarezza in giro e si viveva un senso di resa. Forse per questo è possibile capire e senza ulteriori spiegazioni il senso di questa canzone (TESTO DI AMICI DI UNA FESTA)
E quindi così come era nata, l’esperienza della Campanella terminò e nel 1979 ripresi insieme a Gino Pagnani a girare l’Italia con spettacoli che contenevano una sintesi di quanto avevo scritto fino a quel momento. Nell’anno seguente l’esperienza seguitò con Isabella Biagini e con C’era un omino piccino piccino e un angelo biondo. Fu praticamente l’ultimo spettacolo di cabaret a cui partecipai. Infatti si andavano affermando le televisioni private e le possibilità di doppiaggio erano infinite. Con studio e applicazioni divenni direttore di doppiaggio e imparai ad adattare i copioni cinematografici. Era un modo molto importante per diffondere le idee in cui credevo e lo feci. Ulteriori possibilità in questo senso seguitai ad averle con la radiofonia nella quale potevo esprimermi sia come autore sia come regista attore. Passarono così alcuni anni che mi costrinsero a dedicarmi unicamente alla professione. Anche per Luciano Cirri le cose cambiarono radicalmente. Il suo giornale Il Borghese, aveva dovuto chiudere anche in seguito alla sfortunata avventura di Democrazia Nazionale che aveva visto il suo direttore combattere in prima linea e perdere. Le parole che uscivano da certi nostri incontri erano soltanto parole che delineavano l’amarezza di quei giorni di nebbia. (TESTO DI: CANZONE SENZA TITOLO)
Una resa? Certamente no. Forse una proposta, anche se fatta sommessamente per mancanza di ascoltatori. Sembrava incredibile ma quello che aveva rappresentato fino a qualche anno prima la destra italiana sembrava essersi dissolto. Personalmente non riuscivo neppure a incontrare le persone che avevano frequentato i nostri cabaret e che ci avevano dimostrato per tanto tempo la loro amicizia e la loro simpatia. Quando per pura avventura capitava di poter parlare con qualcuno di loro i discorsi erano sempre del genere: Sono tempi difficili, bisogna stare attenti. È meglio non rischiare inutilmente.
Convinto come ero e come sono che le idee si possano e si debbano esprimere comunque e che se non le si avviluppa in un’etichetta autoghettizzante, possono trovare dovunque inconsapevoli interlocutori, nel settembre del 1983 comincia a lavorare sui testi di Orwell 1884 uno spettacolo che avrei dato da solo, l’anno seguente alla >Scaletta e che stranamente rimase l’unico spettacolo a trattare quell’argomento. Il Grande Fratello era rappresentato da una sagoma controluce che aveva una strana somiglianza con Andreotti. Cercai di mettermi in contatto con Luciano Cirri per fargli rivedere i miei testi, per dimostrargli che tutto sommato avevo avuto ragione e tenere duro e che se noi avessimo voluto, poteva tornare, finalmente il momento di rilanciare il nostro cabaret politico. Non riuscii neppure a rintracciarlo. Non capivo perché ma sembrava come scomparso. Non capivo perché ma sembrava come scomparso. Non potevo certo immaginare che quell’uomo che avevo sempre considerato immortale fosse sul punto di iniziare l’ultima sua avventura. Il 23 ottobre 1983 Luciano Cirri per quello che si usa definire un male incurabile se ne andò lasciando un mondo attonito che forse non si era neanche accorto che un gigante si era spento. Pensai che allora con lui fosse morto anche il cabaret. Ma oggi rileggendo tutto quello che egli ha scritto e che spesso i forma incompiuta ci ha lasciato, mi accorgo che sono io a essermi confuso e che Luciano Cirri non è affatto morto. Egli vive ancora nelle coscienze di molti di noi, La sua figura di ultimo gentiluomo di una storia che ancora deve compiersi, gira ancora tra di noi con il suo gessato grigio, a ricordarci che gli uomini muoiono solo quando muoiono le loro idee. E le sue idee sono vive. Per cui se non è morto Luciano Cirri allora non è morto neppure il cabaret.