Anniversario della Marcia su Roma (28 ottobre 1925)
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Vi sono tre ordini di ragioni che impongono questa disciplina: ragioni di ordine politico, di ordine economico, di ordine morale.
Un uomo di governo deve essere vigilante ed attento non solo ai discorsi che si pronunciano nelle cerimonie ufficiali, ma anche a tutto ciò che si elabora nella massa profonda dei popoli. Vi sono delle correnti altrove che non si rassegnano ancora al fatto compiuto delle nostre frontiere. Bisognerà dire una volta per tutte, una volta per sempre, che se vi sono frontiere sacre sono quelle che abbiamo raggiunto con la guerra, ed aggiungo che se domani queste frontiere fossero minimamente in gioco, io pregherei S. M. il Re di snudare la spada.
Vi sono delle ragioni economiche che impongono la disciplina. Noi non abbiamo motivo di nasconderle: abbiamo attraversato ed attraversiamo un periodo di difficoltà di ordine finanziario; le supereremo ma dobbiamo rendercene conto, e dobbiamo reagire con una solida disciplina interna ed esterna a tutte le tendenze che ci condurrebbero al facilonismo: dobbiamo salvare la nostra moneta e per salvarla non bisogna aumentarne il volume.
Finalmente ci sono delle ragioni di ordine morale. Per troppo tempo l'immagine del popolo italiano riprodotta all'estero era quella di un piccolo popolo disordinato, tumultuante, irrequieto. Oggi l'immagine del popolo italiano è fondamentalmente diversa; e, quel che più conta, il popolo italiano, nella sua massa profonda delle città e delle campagne, è perfettamente consapevole della necessità di questa disciplina e resiste a tutte le suggestioni ed a tutti gli eccitamenti degli uomini dell'antico regime. E questo è il segno della profonda maturità raggiunta dal popolo italiano.
Non dovete credere, o milanesi, che tutto ciò sia effetto di considerazioni di ordine contingente. No. Al fondo c'è un sistema, c'è una dottrina, c'è un'idea. Quale? Si è detto che il secolo diciannovesimo è stupido. Non accetto questa definizione. In genere non ci sono secoli stupidi od intelligenti; oserei dire che, come in tutti gli individui, me compreso, intelligenza e stupidità sono intermittenti. Mi rifiuto di chiamare stupido un secolo nel quale dominatrice della civiltà mondiale è stata l'Europa, durante il quale le industrie, le arti, la scienza ed i prodigi dello spirito si affermarono come in una meravigliosa primavera.
Per noi italiani è importante ricordare che, senza il rifiorire delle idee di libertà e di indipendenza che furono gettate sul mondo dal grande ventilabro sanguinoso agitato da Napoleone, probabilmente non avremmo trovato il fermento primitivo per poi arrivare all'indipendenza della Patria. Ammetto quindi che per tutta la prima metà del XIX secolo il liberalismo sia stata un'idea-forza; oggi non lo è più perché le condizioni di tempo, di ambiente e di popolo sono profondamente mutate.
Un'altra idea-forza è quella delle rivendicazioni socialistiche ed anch'essa è al declino. Tutto quello che fu pomposamente chiamato socialismo scientifico non è che un rottame; e un rottame è la concezione enorme, teatrale e grottesca di una umanità divisa in due classi irreconciliabili; rottame è la miseria crescente e la concentrazione del capitale, quando si assiste a un processo precisamente contrario; rottame, infine, è l'idea della palingenesi sociale.
* * *
La nostra formula è questa: tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato. Io credo che la polemica politica in Italia si avvierebbe a un diverso svolgimento se ci si rendesse conto di un fatto, che cioè nell'ottobre del 1922 non c'è stato un cambiamento di Ministero, ma c'è stata la creazione di un nuovo regime politico. Parlerò chiaro su questo argomento.
Questo regime politico parte da un presupposto indiscutibile e intangibile: la Monarchia e la Dinastia. Per tutto il resto si tratta di istituzioni che non erano perfette quando sorsero e che oggi lo sono meno ancora.
* * *
Di che male abbiamo sofferto noi? Di un prepotere del Parlamento. Quale il rimedio? Ridurre il prepotere del Parlamento. Le grandi soluzioni non possono mai essere adottate dalle assemblee, se le assemblee non sono state prima convenientemente preparate. Una battaglia o è vinta da un generale solo, o è perduta da una assemblea di generali. Dovete ancora considerare che la vita moderna, rapida e complessa, presenta continuamente dei problemi. Quando il regime liberale sorse, le nazioni moderne avevano allora dieci, quindici milioni di abitanti, e piccole classi politiche ristrette, prese da un numero determinato di famiglie, con una speciale educazione.
Oggi l'ambiente è radicalmente cambiato. I popoli non possono più attendere; sono assillati dai loro problemi, sospinti dalle loro necessità. Queste le ragioni per cui io metto il potere esecutivo in prima linea fra tutti i poteri dello Stato; perché il potere esecutivo è il potere onnipresente e omni-operante nella vita di tutti i giorni della Nazione.
V'ha di più; il regime fascista si è diffuso e dilatato in tutta la Nazione, e non è più soltanto un Governo. Sono settanta provincie, sono settemila comuni, ottocentomila tesserati, sono due milioni di contadini e di operai, sono trecentomila militi.
Signori! Questo regime non può essere rovesciato che dalla forza. Coloro che credono di poterci sbancare con delle piccole congiure di corridoio, o con dei fiumi di inchiostro più o meno sudicio, costoro si disingannino: i Ministeri passano, ma un regime nato da una rivoluzione stronca tutti i tentativi di controrivoluzione e realizza tutte le sue conquiste. Quella che si chiamava la rotazione dei portafogli non esiste più, e quando domani dovesse ricominciare, non potrebbe svolgersi che nell'ambito del Partito Nazionale Fascista.
Milanesi! Ove andiamo noi in questo secolo? Bisogna porsi delle mete per avere il coraggio di raggiungerle. Il secolo scorso è stato il secolo della nostra indipendenza. Il secolo attuale deve essere il secolo della nostra potenza. Potenza in tutti i campi, da quello della materia a quello dello spirito. Ma quale è la chiave magica che apre la porta alla potenza? La volontà disciplinata. Allora, voi vi rendete conto come oggi l'Italia realizzi il prodigio di vedere dopo un secolo di tentativi, di guerre, di sacrifici, di martirii, il popolo italiano che entra sulla scena della storia, e si investe della coscienza dei suoi destini. Non è più la popolazione, come un secolo fa, divisa in sette Stati, quella popolazione che diventò popolo; poi il popolo, attraverso il sacrificio della guerra, diventò Nazione. Oggi la Nazione si dà la sua ossatura giuridica e politica e morale, e diventa Stato.
Siamo ormai alla cima perfetta. Tutto questo ci impone dei rudi doveri, e un alto e consapevole senso di responsabilità non soltanto collettiva, ma individuale. Ognuno di voi deve considerarsi un soldato; un soldato anche quando non porta il grigio-verde, un soldato anche quando lavora, nell'ufficio, nelle officine, nei cantieri, o nei campi; un soldato legato a tutto il resto dell'esercito; una molecola che sente e pulsa coll'intero organismo.
Signori! Io credo fermissimamente nel destino di potenza che aspetta la nostra giovane Nazione. E tutti i miei sforzi, tutte le mie fatiche, le mie ansie, i miei dolori sono diretti a questo scopo. Da che cosa deriva mai in me questo senso di fiducia, di incrollabile fiducia? Vi è qualcosa di fatale nell'andare del nostro popolo. Pensate al cammino percorso durante un secolo; pensate che i primi moti per la indipendenza italiana sono del 1821, che l'insurrezione fascista è del 1922. In un secolo abbiamo realizzato dei progressi giganteschi. Oggi questo movimento è accelerato; è accelerato dalla nostra volontà, e tutto il popolo partecipa a questa fatica.
Vinceremo: perché questa è la nostra precisa volontà. Il Governo si considera come lo stato maggiore della Nazione, che si affatica nell'opera civile della pace. Il Governo è insonne, perché non permette che i cittadini siano dei poltroni; il Governo è duro, perché considera che nello Stato non abbiano diritto di cittadinanza i nemici dello Stato; il Governo è inflessibile, perché sente che in questi tempi di ferro solo le volontà inflessibili possono marciare. Tutto il resto è nebbia, che si disperde ai primi raggi del sole.
Signori! Ho finito, perché voglio dimostrare la mia simpatia al vostro illustre Sindaco imitandolo anche nella tacitiana sobrietà del suo discorso. Noi ci separiamo dopo un'ora vissuta in una comunione indimenticabile; partiamo con nell'animo un vibrare di sentimenti profondi: il Risorgimento, la Guerra, la Vittoria, il Fascismo: tutto ciò è nel profondo del popolo, tutto ciò esiste, tutto ciò è materia viva e vitale della nostra storia.
In marcia, e non fermiamoci fino a che le ultime mete non siano raggiunte.
Un uomo di governo deve essere vigilante ed attento non solo ai discorsi che si pronunciano nelle cerimonie ufficiali, ma anche a tutto ciò che si elabora nella massa profonda dei popoli. Vi sono delle correnti altrove che non si rassegnano ancora al fatto compiuto delle nostre frontiere. Bisognerà dire una volta per tutte, una volta per sempre, che se vi sono frontiere sacre sono quelle che abbiamo raggiunto con la guerra, ed aggiungo che se domani queste frontiere fossero minimamente in gioco, io pregherei S. M. il Re di snudare la spada.
Vi sono delle ragioni economiche che impongono la disciplina. Noi non abbiamo motivo di nasconderle: abbiamo attraversato ed attraversiamo un periodo di difficoltà di ordine finanziario; le supereremo ma dobbiamo rendercene conto, e dobbiamo reagire con una solida disciplina interna ed esterna a tutte le tendenze che ci condurrebbero al facilonismo: dobbiamo salvare la nostra moneta e per salvarla non bisogna aumentarne il volume.
Finalmente ci sono delle ragioni di ordine morale. Per troppo tempo l'immagine del popolo italiano riprodotta all'estero era quella di un piccolo popolo disordinato, tumultuante, irrequieto. Oggi l'immagine del popolo italiano è fondamentalmente diversa; e, quel che più conta, il popolo italiano, nella sua massa profonda delle città e delle campagne, è perfettamente consapevole della necessità di questa disciplina e resiste a tutte le suggestioni ed a tutti gli eccitamenti degli uomini dell'antico regime. E questo è il segno della profonda maturità raggiunta dal popolo italiano.
Non dovete credere, o milanesi, che tutto ciò sia effetto di considerazioni di ordine contingente. No. Al fondo c'è un sistema, c'è una dottrina, c'è un'idea. Quale? Si è detto che il secolo diciannovesimo è stupido. Non accetto questa definizione. In genere non ci sono secoli stupidi od intelligenti; oserei dire che, come in tutti gli individui, me compreso, intelligenza e stupidità sono intermittenti. Mi rifiuto di chiamare stupido un secolo nel quale dominatrice della civiltà mondiale è stata l'Europa, durante il quale le industrie, le arti, la scienza ed i prodigi dello spirito si affermarono come in una meravigliosa primavera.
Per noi italiani è importante ricordare che, senza il rifiorire delle idee di libertà e di indipendenza che furono gettate sul mondo dal grande ventilabro sanguinoso agitato da Napoleone, probabilmente non avremmo trovato il fermento primitivo per poi arrivare all'indipendenza della Patria. Ammetto quindi che per tutta la prima metà del XIX secolo il liberalismo sia stata un'idea-forza; oggi non lo è più perché le condizioni di tempo, di ambiente e di popolo sono profondamente mutate.
Un'altra idea-forza è quella delle rivendicazioni socialistiche ed anch'essa è al declino. Tutto quello che fu pomposamente chiamato socialismo scientifico non è che un rottame; e un rottame è la concezione enorme, teatrale e grottesca di una umanità divisa in due classi irreconciliabili; rottame è la miseria crescente e la concentrazione del capitale, quando si assiste a un processo precisamente contrario; rottame, infine, è l'idea della palingenesi sociale.
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La nostra formula è questa: tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato. Io credo che la polemica politica in Italia si avvierebbe a un diverso svolgimento se ci si rendesse conto di un fatto, che cioè nell'ottobre del 1922 non c'è stato un cambiamento di Ministero, ma c'è stata la creazione di un nuovo regime politico. Parlerò chiaro su questo argomento.
Questo regime politico parte da un presupposto indiscutibile e intangibile: la Monarchia e la Dinastia. Per tutto il resto si tratta di istituzioni che non erano perfette quando sorsero e che oggi lo sono meno ancora.
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Di che male abbiamo sofferto noi? Di un prepotere del Parlamento. Quale il rimedio? Ridurre il prepotere del Parlamento. Le grandi soluzioni non possono mai essere adottate dalle assemblee, se le assemblee non sono state prima convenientemente preparate. Una battaglia o è vinta da un generale solo, o è perduta da una assemblea di generali. Dovete ancora considerare che la vita moderna, rapida e complessa, presenta continuamente dei problemi. Quando il regime liberale sorse, le nazioni moderne avevano allora dieci, quindici milioni di abitanti, e piccole classi politiche ristrette, prese da un numero determinato di famiglie, con una speciale educazione.
Oggi l'ambiente è radicalmente cambiato. I popoli non possono più attendere; sono assillati dai loro problemi, sospinti dalle loro necessità. Queste le ragioni per cui io metto il potere esecutivo in prima linea fra tutti i poteri dello Stato; perché il potere esecutivo è il potere onnipresente e omni-operante nella vita di tutti i giorni della Nazione.
V'ha di più; il regime fascista si è diffuso e dilatato in tutta la Nazione, e non è più soltanto un Governo. Sono settanta provincie, sono settemila comuni, ottocentomila tesserati, sono due milioni di contadini e di operai, sono trecentomila militi.
Signori! Questo regime non può essere rovesciato che dalla forza. Coloro che credono di poterci sbancare con delle piccole congiure di corridoio, o con dei fiumi di inchiostro più o meno sudicio, costoro si disingannino: i Ministeri passano, ma un regime nato da una rivoluzione stronca tutti i tentativi di controrivoluzione e realizza tutte le sue conquiste. Quella che si chiamava la rotazione dei portafogli non esiste più, e quando domani dovesse ricominciare, non potrebbe svolgersi che nell'ambito del Partito Nazionale Fascista.
Milanesi! Ove andiamo noi in questo secolo? Bisogna porsi delle mete per avere il coraggio di raggiungerle. Il secolo scorso è stato il secolo della nostra indipendenza. Il secolo attuale deve essere il secolo della nostra potenza. Potenza in tutti i campi, da quello della materia a quello dello spirito. Ma quale è la chiave magica che apre la porta alla potenza? La volontà disciplinata. Allora, voi vi rendete conto come oggi l'Italia realizzi il prodigio di vedere dopo un secolo di tentativi, di guerre, di sacrifici, di martirii, il popolo italiano che entra sulla scena della storia, e si investe della coscienza dei suoi destini. Non è più la popolazione, come un secolo fa, divisa in sette Stati, quella popolazione che diventò popolo; poi il popolo, attraverso il sacrificio della guerra, diventò Nazione. Oggi la Nazione si dà la sua ossatura giuridica e politica e morale, e diventa Stato.
Siamo ormai alla cima perfetta. Tutto questo ci impone dei rudi doveri, e un alto e consapevole senso di responsabilità non soltanto collettiva, ma individuale. Ognuno di voi deve considerarsi un soldato; un soldato anche quando non porta il grigio-verde, un soldato anche quando lavora, nell'ufficio, nelle officine, nei cantieri, o nei campi; un soldato legato a tutto il resto dell'esercito; una molecola che sente e pulsa coll'intero organismo.
Signori! Io credo fermissimamente nel destino di potenza che aspetta la nostra giovane Nazione. E tutti i miei sforzi, tutte le mie fatiche, le mie ansie, i miei dolori sono diretti a questo scopo. Da che cosa deriva mai in me questo senso di fiducia, di incrollabile fiducia? Vi è qualcosa di fatale nell'andare del nostro popolo. Pensate al cammino percorso durante un secolo; pensate che i primi moti per la indipendenza italiana sono del 1821, che l'insurrezione fascista è del 1922. In un secolo abbiamo realizzato dei progressi giganteschi. Oggi questo movimento è accelerato; è accelerato dalla nostra volontà, e tutto il popolo partecipa a questa fatica.
Vinceremo: perché questa è la nostra precisa volontà. Il Governo si considera come lo stato maggiore della Nazione, che si affatica nell'opera civile della pace. Il Governo è insonne, perché non permette che i cittadini siano dei poltroni; il Governo è duro, perché considera che nello Stato non abbiano diritto di cittadinanza i nemici dello Stato; il Governo è inflessibile, perché sente che in questi tempi di ferro solo le volontà inflessibili possono marciare. Tutto il resto è nebbia, che si disperde ai primi raggi del sole.
Signori! Ho finito, perché voglio dimostrare la mia simpatia al vostro illustre Sindaco imitandolo anche nella tacitiana sobrietà del suo discorso. Noi ci separiamo dopo un'ora vissuta in una comunione indimenticabile; partiamo con nell'animo un vibrare di sentimenti profondi: il Risorgimento, la Guerra, la Vittoria, il Fascismo: tutto ciò è nel profondo del popolo, tutto ciò esiste, tutto ciò è materia viva e vitale della nostra storia.
In marcia, e non fermiamoci fino a che le ultime mete non siano raggiunte.