Discorso al Campidoglio (31 dicembre 1925)
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Governatore!
Il discorso che ho l'onore e il piacere di rivolgervi sarà di stile romano, intonato nella sua concisione alla solenne romanità di questa cerimonia.
Rigorosamente esclusa ogni divagazione retorica, il mio discorso consisterà in un elogio per quanto avete fatto e in una precisa consegna per quanto ancora vi resta da fare.
Ricordo che quando nell'aprile 1924 mi faceste l'onore di accogliermi fra i cittadini di Roma, vi dissi che i problemi della capitale si dividevano in due grandi serie: i problemi della necessità e quelli della grandezza. Dopo tre anni di regio commissariato, nessun osservatore obiettivo può contestare che i problemi della necessità sono stati energicamente affrontati e in buona parte risolti. Roma ha già un aspetto diverso. Diecine di quartieri sono sorti alla periferia della città che ha lanciato le sue avanguardie di case verso il monte salubre, verso il mare riconsacrato.
I dati sintetici del vostro bilancio triennale eccoli: strade nuove, aumentati mezzi di comunicazione, miglioramento di tutti i servizi pubblici, scuole, parchi, giardini, assistenza sanitaria, organizzazione igienica in difesa della salute del popolo. Nel tempo stesso, sono riscattati dal silenzio oblioso i Fori, come quello di Augusto, i templi, come quello della Fortuna virile.
Tutto ciò è innegabilmente merito vostro. Tutto ciò si deve alla vostra instancabile fatica e al vostro ardente spirito di romanità antica e moderna.
Non ci poteva essere soluzione di continuità in questa opera. Ecco perché il Governo ha deciso che voi, dopo essere stato per tre anni regio commissario, siate, vorrei dire per diritto naturale di successione, il primo Governatore di Roma. Avete dinanzi a voi un periodo di almeno cinque anni per completare ciò che fu iniziato, e incominciare l'opera maggiore del tempo secondo.
Le mie idee sono chiare, i miei ordini sono precisi e sono certo che diventeranno una realtà concreta. Tra cinque anni Roma deve apparire meravigliosa a tutte le genti del mondo; vasta, ordinata, potente, come fu ai tempi del primo impero di Augusto.
Voi continuerete a liberare il tronco della grande quercia da tutto ciò che ancora lo intralcia. Farete dei varchi intorno al teatro Marcello, al Campidoglio, al Pantheon; tutto ciò che vi crebbe attorno nei secoli della decadenza deve scomparire . . . . .
Voi libererete anche dalle costruzioni parassitarie e profane i templi maestosi della Roma cristiana. I monumenti millenari della nostra storia debbono giganteggiare nella necessaria solitudine.
Quindi la terza Roma si dilaterà sopra altri colli, lungo le rive del fiume sacro, sino alle spiaggie del Tirreno.
Voi toglierete la stolta contaminazione tranviaria che ingombra le strade di Roma, ma darete nuovi mezzi di comunicazione alle nuove città che sorgeranno in anello intorno alle città antiche. Un rettilineo che dovrà essere il più lungo e il più largo del mondo porterà l'ansito del mare nostrum da Ostia risorta fino nel cuore della città.
Darete case, scuole, bagni, giardini, campi sportivi al popolo fascista che lavora. Voi, ricco di saggezza e di esperienza, governerete la città nello spirito e nella materia, nel passato e nell'avvenire.
Volgono per questa vostra opera i fati specialmente propizi.
Da tre anni Roma è veramente la capitale d'Italia, i municipalismi sono scomparsi. Il Fascismo ha, fra gli altri, questo non ultimo merito, di aver dato moralmente e politicamente la capitale alla nazione: Roma, oggi altissima nella nuova coscienza della Patria vittoriosa.
Aggiungo che il popolo romano ha dato in questi ultimi anni, specialmente in questo che si conclude oggi, prove ammirabili di ordine e di disciplina. Esso è degno di vivere nella più grande Roma che sorgerà dalla nostra volontà tenace, dall'amore e dal sacrificio concorde e consapevole di tutte le genti d'Italia.
Governatore! Al lavoro senz'altro indugio.
La Patria e il mondo attendono l'avverarsi dell'auspicio, il compiersi della promessa.
Il discorso che ho l'onore e il piacere di rivolgervi sarà di stile romano, intonato nella sua concisione alla solenne romanità di questa cerimonia.
Rigorosamente esclusa ogni divagazione retorica, il mio discorso consisterà in un elogio per quanto avete fatto e in una precisa consegna per quanto ancora vi resta da fare.
Ricordo che quando nell'aprile 1924 mi faceste l'onore di accogliermi fra i cittadini di Roma, vi dissi che i problemi della capitale si dividevano in due grandi serie: i problemi della necessità e quelli della grandezza. Dopo tre anni di regio commissariato, nessun osservatore obiettivo può contestare che i problemi della necessità sono stati energicamente affrontati e in buona parte risolti. Roma ha già un aspetto diverso. Diecine di quartieri sono sorti alla periferia della città che ha lanciato le sue avanguardie di case verso il monte salubre, verso il mare riconsacrato.
I dati sintetici del vostro bilancio triennale eccoli: strade nuove, aumentati mezzi di comunicazione, miglioramento di tutti i servizi pubblici, scuole, parchi, giardini, assistenza sanitaria, organizzazione igienica in difesa della salute del popolo. Nel tempo stesso, sono riscattati dal silenzio oblioso i Fori, come quello di Augusto, i templi, come quello della Fortuna virile.
Tutto ciò è innegabilmente merito vostro. Tutto ciò si deve alla vostra instancabile fatica e al vostro ardente spirito di romanità antica e moderna.
Non ci poteva essere soluzione di continuità in questa opera. Ecco perché il Governo ha deciso che voi, dopo essere stato per tre anni regio commissario, siate, vorrei dire per diritto naturale di successione, il primo Governatore di Roma. Avete dinanzi a voi un periodo di almeno cinque anni per completare ciò che fu iniziato, e incominciare l'opera maggiore del tempo secondo.
Le mie idee sono chiare, i miei ordini sono precisi e sono certo che diventeranno una realtà concreta. Tra cinque anni Roma deve apparire meravigliosa a tutte le genti del mondo; vasta, ordinata, potente, come fu ai tempi del primo impero di Augusto.
Voi continuerete a liberare il tronco della grande quercia da tutto ciò che ancora lo intralcia. Farete dei varchi intorno al teatro Marcello, al Campidoglio, al Pantheon; tutto ciò che vi crebbe attorno nei secoli della decadenza deve scomparire . . . . .
Voi libererete anche dalle costruzioni parassitarie e profane i templi maestosi della Roma cristiana. I monumenti millenari della nostra storia debbono giganteggiare nella necessaria solitudine.
Quindi la terza Roma si dilaterà sopra altri colli, lungo le rive del fiume sacro, sino alle spiaggie del Tirreno.
Voi toglierete la stolta contaminazione tranviaria che ingombra le strade di Roma, ma darete nuovi mezzi di comunicazione alle nuove città che sorgeranno in anello intorno alle città antiche. Un rettilineo che dovrà essere il più lungo e il più largo del mondo porterà l'ansito del mare nostrum da Ostia risorta fino nel cuore della città.
Darete case, scuole, bagni, giardini, campi sportivi al popolo fascista che lavora. Voi, ricco di saggezza e di esperienza, governerete la città nello spirito e nella materia, nel passato e nell'avvenire.
Volgono per questa vostra opera i fati specialmente propizi.
Da tre anni Roma è veramente la capitale d'Italia, i municipalismi sono scomparsi. Il Fascismo ha, fra gli altri, questo non ultimo merito, di aver dato moralmente e politicamente la capitale alla nazione: Roma, oggi altissima nella nuova coscienza della Patria vittoriosa.
Aggiungo che il popolo romano ha dato in questi ultimi anni, specialmente in questo che si conclude oggi, prove ammirabili di ordine e di disciplina. Esso è degno di vivere nella più grande Roma che sorgerà dalla nostra volontà tenace, dall'amore e dal sacrificio concorde e consapevole di tutte le genti d'Italia.
Governatore! Al lavoro senz'altro indugio.
La Patria e il mondo attendono l'avverarsi dell'auspicio, il compiersi della promessa.