Discorso alla Camera del 24 maggio 1925
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Quando il Presidente della Camera on. Casertano parlava, io sentivo vibrare nella sua voce il rimpianto del figlio eroicamente caduto.
Dopo i discorsi degli onorevoli Lunelli e Paolucci non vi è molto da aggiungere.
Perché abbiamo voluto dedicare una solenne seduta alla celebrazione dell'avvenimento? Perché or non è molto si prevedeva un'era di espiazione per tutti coloro che avevano voluto la guerra.
I nomi degli statisti che dichiararono la guerra sono consegnati alla storia. Ma oggi io voglio portare sulla scena il popolo del maggio 1915. Chi di voi non sente un grido attraversare l'anima e la carne, quando pensa alle prime giornate della nostra passione? quando ricorda le moltitudini di Milano, di Genova, di Roma?
Non avete ancora nell'orecchio l'eco di quelle canzoni ? Erano di una semplicità elementare; e dicevano:
Le bombe, le bombe alla mano,
il pugnale, il pugnale all'Orsini.
Un'altra finiva con l'invocazione alla libertà, ma alla libertà della Nazione, che non deve confondersi con la licenza degli individui.
Intanto il Poeta dallo Scoglio di Quarto aveva lanciato la parola d'ordine.
La folla occupava permanentemente la piazza.
A Milano, in una rapida seduta, decidemmo di lanciare un appello. Allora il popolo impose la sua volontà, mentre trecento deputati credevano di fermare la storia coi loro biglietti di visita. Le masse rovesciarono questo fragile schermo.
Quanti avvenimenti da allora! Come possiamo dire di aver vissuto veramente nel breve ciclo di dieci anni un tempo incalcolabile di storia! Abbiamo visto crollare gli imperi, formarsi le repubbliche! Abbiamo raggiunto i nostri confini al Brennero e al Nevoso, abbiamo redento le città che furono per trenta o quarant'anni l'ansito di generazioni.
Ma al di là di queste conquiste territoriali, abbiamo l'orgoglio della Vittoria e la certezza che se fosse necessario noi incominceremmo a combattere ancora.
Salutiamo tutti gli uomini dell'intervento: quelli che venivano dall'alto e quelli che venivano dal basso. Tutti costoro sono presenti al nostro spirito. Tutti costoro ci guardano negli occhi e ci ammoniscono che bisogna continuare e bisogna insistere in questa necessaria disciplina, perché la guerra sotto diverso nome continua ancora. Dopo aver conquistato la sicurezza dobbiamo tendere alla potenza.
Questo è il significato della odierna celebrazione e da questa aula deve andare al popolo italiano il nostro monito ed il nostro appello.
Con l'amore se è possibile, con la forza se è necessario, vogliamo che tutti gli italiani si considerino come un esercito mobilitato per le opere di pace e se occorre per le opere di guerra.
Noi siamo i testimoni di questa fede e di questa certezza. Noi vogliamo che l'Italia sia grande, sia sicura, sia temuta!
Dopo i discorsi degli onorevoli Lunelli e Paolucci non vi è molto da aggiungere.
Perché abbiamo voluto dedicare una solenne seduta alla celebrazione dell'avvenimento? Perché or non è molto si prevedeva un'era di espiazione per tutti coloro che avevano voluto la guerra.
I nomi degli statisti che dichiararono la guerra sono consegnati alla storia. Ma oggi io voglio portare sulla scena il popolo del maggio 1915. Chi di voi non sente un grido attraversare l'anima e la carne, quando pensa alle prime giornate della nostra passione? quando ricorda le moltitudini di Milano, di Genova, di Roma?
Non avete ancora nell'orecchio l'eco di quelle canzoni ? Erano di una semplicità elementare; e dicevano:
Le bombe, le bombe alla mano,
il pugnale, il pugnale all'Orsini.
Un'altra finiva con l'invocazione alla libertà, ma alla libertà della Nazione, che non deve confondersi con la licenza degli individui.
Intanto il Poeta dallo Scoglio di Quarto aveva lanciato la parola d'ordine.
La folla occupava permanentemente la piazza.
A Milano, in una rapida seduta, decidemmo di lanciare un appello. Allora il popolo impose la sua volontà, mentre trecento deputati credevano di fermare la storia coi loro biglietti di visita. Le masse rovesciarono questo fragile schermo.
Quanti avvenimenti da allora! Come possiamo dire di aver vissuto veramente nel breve ciclo di dieci anni un tempo incalcolabile di storia! Abbiamo visto crollare gli imperi, formarsi le repubbliche! Abbiamo raggiunto i nostri confini al Brennero e al Nevoso, abbiamo redento le città che furono per trenta o quarant'anni l'ansito di generazioni.
Ma al di là di queste conquiste territoriali, abbiamo l'orgoglio della Vittoria e la certezza che se fosse necessario noi incominceremmo a combattere ancora.
Salutiamo tutti gli uomini dell'intervento: quelli che venivano dall'alto e quelli che venivano dal basso. Tutti costoro sono presenti al nostro spirito. Tutti costoro ci guardano negli occhi e ci ammoniscono che bisogna continuare e bisogna insistere in questa necessaria disciplina, perché la guerra sotto diverso nome continua ancora. Dopo aver conquistato la sicurezza dobbiamo tendere alla potenza.
Questo è il significato della odierna celebrazione e da questa aula deve andare al popolo italiano il nostro monito ed il nostro appello.
Con l'amore se è possibile, con la forza se è necessario, vogliamo che tutti gli italiani si considerino come un esercito mobilitato per le opere di pace e se occorre per le opere di guerra.
Noi siamo i testimoni di questa fede e di questa certezza. Noi vogliamo che l'Italia sia grande, sia sicura, sia temuta!