Discorso di Udine (20 settembre 1938)
Camicie nere!
Torno tra voi nel Ventennale della Vittoria, esattamente sedici anni dopo il mio discorso annunziatore della Marcia su Roma. Volli allora venire tra voi perché Udine era stata la Capitale della Guerra, perché milioni di Italiani sono passati per le vostre strade, hanno sostato nella vostra città, hanno apprezzato la magnifica, la fraterna ospitalità del popolo friulano.
Noi non amiamo soffermarci troppo sul passato, perché la nostra volontà ci spinge sempre verso il futuro; tuttavia non sarà male ricordare e domandarsi che cosa era l'Italia il 20 settembre del 1922. L'Italia allora era un popolo che soffriva perché la Pace non era stata adeguata ai suoi immensi sacrifici, un popolo che non poteva più credere nei Governi che si succedevano troppo rapidamente e con figure sempre più effimere.
È in queste condizioni che il Fascismo impegnò la sua battaglia. Eravamo decisi a tutto, anche a combattere se fosse stato necessario, pur di vincere e di attuare il programma che io annunciai nella vostra città.
Sono passati sedici anni. L'Italia oggi è un popolo fieramente in piedi; l'Italia oggi è uno Stato; l'Italia è un Impero.
Il popolo, quello delle officine e quello dei campi, non è estraneo alla vita dello Stato, si sente protagonista della vita dello Stato: questo è il significato profondo della Rivoluzione Fascista.
Se noi volessimo stabilire il consuntivo di questi sedici anni, troveremmo che il bilancio è confortantissimo: abbiamo sicure le nostre frontiere, abbiamo riconquistato la Libia, abbiamo liquidate tutte le vecchie pendenze diplomatiche di una pace zoppa, e siamo forti per terra, per mare, per cielo, come non fummo mai.
Ma oltre alla potenza delle armi noi possediamo oggi la potenza dello spirito, cioè la compattissima unità morale dell'intero popolo italiano.
Io vorrei che taluni melanconici stranieri, eternamente sfasati di fronte alla realtà italiana, assistessero a queste manifestazioni e udissero il vostro grido che ha il rombo del ciclone e dell'uragano. Allora dovrebbero stracciare le loro inutili carte, recitare un atto di contrizione perché, o camerati, una delle più gravi malattie di cui soffre il mondo contemporaneo è lo spaccio della menzogna, soprattutto quando si tratta dell'Italia, perché, evidentemente, a molti stranieri piaceva di più il popolo dell'altra epoca, perché per molti stranieri - e questi stranieri noi abbiamo tutto il diritto di disprezzarli - il popolo italiano doveva esistere semplicemente per interessare e per divertire i popoli d'oltre frontiera.
Tutto ciò è finito, tutto ciò è irrevocabilmente finito.
Preferiamo di essere temuti e non ci importa nulla dell'odio altrui perché lo ricambiamo.
Bisognerà che il mondo faccia conoscenza di questa nuova Italia fascista: Italia dura, Italia volitiva, Italia guerriera.
Sedici anni di Fascismo si vedono nell'ammirevole contegno che il popolo italiano ha tenuto in questi giorni. Altri popoli hanno avuto delle crisi, degli alti e bassi, anche dei terrori. Il popolo italiano non ha perduto la sua calma; non c'è stato bisogno di raccomandargli il suo sangue freddo, perché venti anni di guerra, di battaglie, una Rivoluzione come quella fascista hanno fatto dell'anima italiana un blocco di temprato metallo. E se domani questo popolo fosse chiamato ad altre prove, non esiterebbe un minuto solo.
Camicie nere di Udine!
Se io vi dico che è con profonda commozione che io ritorno fra voi, mi dovete credere.
Ma sono fiero soprattutto di constatare che il vostro spirito non ha subito in guisa alcuna le fluttuazioni del tempo. Voi siete gli stessi, voi avete lo spirito di allora, voi siete pronti ad ubbidire come allora, voi siete pronti a credere come allora, e soprattutto a combattere come allora.
Allora marciammo su Roma; negli anni successivi la marcia partì da Roma. Non è ancora finita. Nessuno ha potuto fermarci. Nessuno ci fermerà.
Torno tra voi nel Ventennale della Vittoria, esattamente sedici anni dopo il mio discorso annunziatore della Marcia su Roma. Volli allora venire tra voi perché Udine era stata la Capitale della Guerra, perché milioni di Italiani sono passati per le vostre strade, hanno sostato nella vostra città, hanno apprezzato la magnifica, la fraterna ospitalità del popolo friulano.
Noi non amiamo soffermarci troppo sul passato, perché la nostra volontà ci spinge sempre verso il futuro; tuttavia non sarà male ricordare e domandarsi che cosa era l'Italia il 20 settembre del 1922. L'Italia allora era un popolo che soffriva perché la Pace non era stata adeguata ai suoi immensi sacrifici, un popolo che non poteva più credere nei Governi che si succedevano troppo rapidamente e con figure sempre più effimere.
È in queste condizioni che il Fascismo impegnò la sua battaglia. Eravamo decisi a tutto, anche a combattere se fosse stato necessario, pur di vincere e di attuare il programma che io annunciai nella vostra città.
Sono passati sedici anni. L'Italia oggi è un popolo fieramente in piedi; l'Italia oggi è uno Stato; l'Italia è un Impero.
Il popolo, quello delle officine e quello dei campi, non è estraneo alla vita dello Stato, si sente protagonista della vita dello Stato: questo è il significato profondo della Rivoluzione Fascista.
Se noi volessimo stabilire il consuntivo di questi sedici anni, troveremmo che il bilancio è confortantissimo: abbiamo sicure le nostre frontiere, abbiamo riconquistato la Libia, abbiamo liquidate tutte le vecchie pendenze diplomatiche di una pace zoppa, e siamo forti per terra, per mare, per cielo, come non fummo mai.
Ma oltre alla potenza delle armi noi possediamo oggi la potenza dello spirito, cioè la compattissima unità morale dell'intero popolo italiano.
Io vorrei che taluni melanconici stranieri, eternamente sfasati di fronte alla realtà italiana, assistessero a queste manifestazioni e udissero il vostro grido che ha il rombo del ciclone e dell'uragano. Allora dovrebbero stracciare le loro inutili carte, recitare un atto di contrizione perché, o camerati, una delle più gravi malattie di cui soffre il mondo contemporaneo è lo spaccio della menzogna, soprattutto quando si tratta dell'Italia, perché, evidentemente, a molti stranieri piaceva di più il popolo dell'altra epoca, perché per molti stranieri - e questi stranieri noi abbiamo tutto il diritto di disprezzarli - il popolo italiano doveva esistere semplicemente per interessare e per divertire i popoli d'oltre frontiera.
Tutto ciò è finito, tutto ciò è irrevocabilmente finito.
Preferiamo di essere temuti e non ci importa nulla dell'odio altrui perché lo ricambiamo.
Bisognerà che il mondo faccia conoscenza di questa nuova Italia fascista: Italia dura, Italia volitiva, Italia guerriera.
Sedici anni di Fascismo si vedono nell'ammirevole contegno che il popolo italiano ha tenuto in questi giorni. Altri popoli hanno avuto delle crisi, degli alti e bassi, anche dei terrori. Il popolo italiano non ha perduto la sua calma; non c'è stato bisogno di raccomandargli il suo sangue freddo, perché venti anni di guerra, di battaglie, una Rivoluzione come quella fascista hanno fatto dell'anima italiana un blocco di temprato metallo. E se domani questo popolo fosse chiamato ad altre prove, non esiterebbe un minuto solo.
Camicie nere di Udine!
Se io vi dico che è con profonda commozione che io ritorno fra voi, mi dovete credere.
Ma sono fiero soprattutto di constatare che il vostro spirito non ha subito in guisa alcuna le fluttuazioni del tempo. Voi siete gli stessi, voi avete lo spirito di allora, voi siete pronti ad ubbidire come allora, voi siete pronti a credere come allora, e soprattutto a combattere come allora.
Allora marciammo su Roma; negli anni successivi la marcia partì da Roma. Non è ancora finita. Nessuno ha potuto fermarci. Nessuno ci fermerà.