Morte del Maresciallo Diaz (19 marzo 1928)
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Onorevoli camerati,
Dal momento in cui la notizia della morte del Duca della Vittoria, del Maresciallo d'Italia, Armando Diaz, è stata diffusa nel mondo, un velo di profonda tristezza avvolge l'animo del Popolo italiano. Più acuta ancora, questa tristezza, percuote l'animo dei Combattenti, che vissero la grande guerra e conobbero, guidati da Diaz, la suprema ansietà e la divina certezza della Vittoria. Oggi è giorno di dolore per tutti i fanti, che balzarono dalle trincee, per tutti i soldati d'Italia. Forse anche i non dimenticabili morti che dormono nei bianchi cimiteri delle Alpi o nella vasta, ferrigna necropoli di Redipuglia, si sono sentiti sfiorati stanotte dall'anima non più terrena del loro Condottiero.
La sua vita con una sola parola potrebbe essere esaltata e conchiusa: «dovere». Questa parola religiosa e guerriera fu per lui norma e ideale. Vi é un momento della sua carriera militare che caratterizza lo spirito di Armando Diaz: il suo volontario passaggio nelle fanterie, le fanterie mobili e sacrificate, nelle fanterie che non hanno mai contato i loro caduti, né mai misurato il loro sangue. Quale comandante di fanti, Armando Diaz partecipò alla guerra libica ed alla testa delle sue truppe fu gravemente ferito in combattimento.
Intanto montavano agli orizzonti dell'Europa tormentata e divisa i nembi annunciatori della tempesta. La guerra mondiale trovò Armando Diaz comandante di una brigata, la «Siena». I primi anni di guerra egli li visse nell'adempimento quasi anonimo del suo dovere. Partecipò alle spallate del Carso, fu una seconda volta ferito, combatté, soldato tra i soldati.
Così, fino alle giornate di ottobre del 1917, fino al durissimo allarme che doveva svegliare capi e gregari, Esercito e Popolo. Inchiodata l'irruzione nemica alle rive del Piave, ecco Diaz (scelto con incomparabile acume da chi poteva) balzare al Comando in capo dell'Esercito. Gli eventi successivi dimostrarono che le speranze concepite allora erano pienamente giustificate.
Il Popolo si ricompose in una ferma unità degli spiriti, i Mutilati accorsero alle trincee, gli adolescenti partirono a colmare i vuoti, i veterani presero a motto del loro ardire la frase scritta da un fante sconosciuto: « Meglio vivere un giorno da leoni che cento anni da pecore».
Rianimatore e riorganizzatore delle forze fu Diaz: spirito profondamente religioso, spirito umano fra uomini, comprese che i soldati non erano soltanto dei piastrini di riconoscimento, ma delle anime; comprese che il morale, invece di essere considerato come una fredda, quasi catechistica esercitazione meramente formale, dovesse costituire la preoccupazione costante, la cura assidua di tutti i Capi. È in questo problema fondamentale di psicologia e nell'avere avvertito immediatamente questa necessità che Diaz rivelò, ancora prima del giugno, le sue qualità di Comandante supremo.
La battaglia del giugno, che fu una delle battaglie decisive della guerra mondiale, dimostrò che l'Esercito italiano era ormai così materialmente e moralmente armato da potere riguadagnare il territorio perduto e riafferrare la Vittoria.
Ottobre 1918. Avanzata fulminea oltre Piave. Catastrofe dell'esercito nemico. Bollettino del 4 novembre. Il nome breve e tagliente del Condottiero è in fondo alla pagina che rimarrà eterna nella Storia della Patria. La guerra è finita. La guerra delle armi è finita. È l'ora dei diplomatici. Dopo il sacrificio, il calcolo. Non soffermiamoci a lungo nei ricordi per non rendere più pungente la nostra amarezza.
Ma la guerra è finita in Italia? Non ancora. Bisogna ricominciare a battersi nelle strade e nelle piazze contro l'ignavia dei governi e la illusione asiatica delle masse, per difendere i diritti e soprattutto lo spirito della Vittoria.
La gioventù che aveva fatta la guerra ricostituisce col simbolo del Littorio romano e fascista le sue formazioni di combattimento. Armando Diaz, che aveva sofferto in silenzio, e aveva assistito da lungi alla mortificazione e alla profanazione, è con i giovani fascisti, è con la nuova Italia, duella di Vittorio Veneto, che a Napoli celebra l'adunata delle sue squadre prima di prendere Roma.
Comincia l'era nuova. Diaz è con noi, e assume il Ministero della Guerra. Poteva l'artefice della Vittoria offrire al Fascismo prova più solenne e pronta di simpatia e solidarietà ? Tale simpatia e solidarietà non vennero mai meno. Anche nelle ore grigie, quando le fedi imbelli si piegano e gli spiriti crepuscolari s'interrogano, Diaz non dubitò mai e fu sempre leale, aperto difensore del Regime. Questo i Fascisti sanno, questo le Camicie Nere non dimenticheranno mai!
Ora, il grande artefice della Vittoria ha varcato le soglie del mistero. La vecchia ferita di Zanzur ha abbreviato la sua agonia. La sua giornata terrena è finita. Domani tuoneranno i cannoni, sventoleranno le bandiere gloriose dei Reggimenti, il Popolo sosterà pensoso e memore a salutare il suo Capitano, che comincia a vivere la sua seconda vita immortale nei cieli della Storia.
Dal momento in cui la notizia della morte del Duca della Vittoria, del Maresciallo d'Italia, Armando Diaz, è stata diffusa nel mondo, un velo di profonda tristezza avvolge l'animo del Popolo italiano. Più acuta ancora, questa tristezza, percuote l'animo dei Combattenti, che vissero la grande guerra e conobbero, guidati da Diaz, la suprema ansietà e la divina certezza della Vittoria. Oggi è giorno di dolore per tutti i fanti, che balzarono dalle trincee, per tutti i soldati d'Italia. Forse anche i non dimenticabili morti che dormono nei bianchi cimiteri delle Alpi o nella vasta, ferrigna necropoli di Redipuglia, si sono sentiti sfiorati stanotte dall'anima non più terrena del loro Condottiero.
La sua vita con una sola parola potrebbe essere esaltata e conchiusa: «dovere». Questa parola religiosa e guerriera fu per lui norma e ideale. Vi é un momento della sua carriera militare che caratterizza lo spirito di Armando Diaz: il suo volontario passaggio nelle fanterie, le fanterie mobili e sacrificate, nelle fanterie che non hanno mai contato i loro caduti, né mai misurato il loro sangue. Quale comandante di fanti, Armando Diaz partecipò alla guerra libica ed alla testa delle sue truppe fu gravemente ferito in combattimento.
Intanto montavano agli orizzonti dell'Europa tormentata e divisa i nembi annunciatori della tempesta. La guerra mondiale trovò Armando Diaz comandante di una brigata, la «Siena». I primi anni di guerra egli li visse nell'adempimento quasi anonimo del suo dovere. Partecipò alle spallate del Carso, fu una seconda volta ferito, combatté, soldato tra i soldati.
Così, fino alle giornate di ottobre del 1917, fino al durissimo allarme che doveva svegliare capi e gregari, Esercito e Popolo. Inchiodata l'irruzione nemica alle rive del Piave, ecco Diaz (scelto con incomparabile acume da chi poteva) balzare al Comando in capo dell'Esercito. Gli eventi successivi dimostrarono che le speranze concepite allora erano pienamente giustificate.
Il Popolo si ricompose in una ferma unità degli spiriti, i Mutilati accorsero alle trincee, gli adolescenti partirono a colmare i vuoti, i veterani presero a motto del loro ardire la frase scritta da un fante sconosciuto: « Meglio vivere un giorno da leoni che cento anni da pecore».
Rianimatore e riorganizzatore delle forze fu Diaz: spirito profondamente religioso, spirito umano fra uomini, comprese che i soldati non erano soltanto dei piastrini di riconoscimento, ma delle anime; comprese che il morale, invece di essere considerato come una fredda, quasi catechistica esercitazione meramente formale, dovesse costituire la preoccupazione costante, la cura assidua di tutti i Capi. È in questo problema fondamentale di psicologia e nell'avere avvertito immediatamente questa necessità che Diaz rivelò, ancora prima del giugno, le sue qualità di Comandante supremo.
La battaglia del giugno, che fu una delle battaglie decisive della guerra mondiale, dimostrò che l'Esercito italiano era ormai così materialmente e moralmente armato da potere riguadagnare il territorio perduto e riafferrare la Vittoria.
Ottobre 1918. Avanzata fulminea oltre Piave. Catastrofe dell'esercito nemico. Bollettino del 4 novembre. Il nome breve e tagliente del Condottiero è in fondo alla pagina che rimarrà eterna nella Storia della Patria. La guerra è finita. La guerra delle armi è finita. È l'ora dei diplomatici. Dopo il sacrificio, il calcolo. Non soffermiamoci a lungo nei ricordi per non rendere più pungente la nostra amarezza.
Ma la guerra è finita in Italia? Non ancora. Bisogna ricominciare a battersi nelle strade e nelle piazze contro l'ignavia dei governi e la illusione asiatica delle masse, per difendere i diritti e soprattutto lo spirito della Vittoria.
La gioventù che aveva fatta la guerra ricostituisce col simbolo del Littorio romano e fascista le sue formazioni di combattimento. Armando Diaz, che aveva sofferto in silenzio, e aveva assistito da lungi alla mortificazione e alla profanazione, è con i giovani fascisti, è con la nuova Italia, duella di Vittorio Veneto, che a Napoli celebra l'adunata delle sue squadre prima di prendere Roma.
Comincia l'era nuova. Diaz è con noi, e assume il Ministero della Guerra. Poteva l'artefice della Vittoria offrire al Fascismo prova più solenne e pronta di simpatia e solidarietà ? Tale simpatia e solidarietà non vennero mai meno. Anche nelle ore grigie, quando le fedi imbelli si piegano e gli spiriti crepuscolari s'interrogano, Diaz non dubitò mai e fu sempre leale, aperto difensore del Regime. Questo i Fascisti sanno, questo le Camicie Nere non dimenticheranno mai!
Ora, il grande artefice della Vittoria ha varcato le soglie del mistero. La vecchia ferita di Zanzur ha abbreviato la sua agonia. La sua giornata terrena è finita. Domani tuoneranno i cannoni, sventoleranno le bandiere gloriose dei Reggimenti, il Popolo sosterà pensoso e memore a salutare il suo Capitano, che comincia a vivere la sua seconda vita immortale nei cieli della Storia.