Canzoni

Mostra del Novecento Italiano (15 febbraio 1926)

Anno: 1926

Gruppo: DISCORSI: BENITO MUSSOLINI

Testo: Benito Mussolini

Vi confesso che non è senza qualche esitazione, che io mi accingo a parlare in questa circostanza, per questa cerimonia inaugurale, che sembra portarmi assai lontano da quella che è la mia quotidiana fatica. Ieri sera, dopo avere attentamente esaminata la Mostra, alcuni interrogativi hanno inquietato il mio spirito. Ve li accenno brevemente perché Voi ne facciate oggetto di meditazioni necessarie.

Primo: quale rapporto intercede tra la politica e l'arte? Quale tra il politico e l'artista? È possibile di stabilire una gerarchia fra queste due manifestazioni dello spirito umano? Che la politica sia un'arte non v'è dubbio. Non è, certo, una scienza. Nemmeno mero empirismo. È quindi un'arte. Anche perché nella politica c'è molto intuito. La creazione «politica » come quella artistica è una elaborazione lenta e una divinazione subitanea. A un certo momento l'artista crea colla ispirazione, il politico colla decisione. Entrambi lavorano la materia e lo spirito. Entrambi inseguono un ideale che li pungola e li trascende. Per dare savie leggi a un popolo bisogna essere anche un poco artisti. Fra il politico e l'artista vi è qualche altro punto di contatto; ne cito uno per tutti: il senso della incontentabilità. La insoddisfazione tremenda e pur salutare delle cose compiute, che non sono mai come si credeva. La piatta beatitudine dell'arrivato è ignota tanto all'artista come al politico. Quanto alla gerarchia, è argomento che mi seduce e mi porterebbe lontano. Forse non ho detto alcunché di interessante, ma io voglio arrivare ad una prima modesta conclusione: non v'è incompatibilità fra un uomo politico e l'arte del suo e di altri popoli; del suo e di altri tempi.

Seconda domanda. Perché «Mostra del '900»? Qualcuno ha osservato che questa prima Mostra non può avere la pretesa di ipotecare un secolo che è appena incominciato da sette anni, cioè dalla fine della guerra mondiale, e che prima del fatidico 2000 altri 74 anni devono passare, durante i quali le più straordinarie vicende, gli eventi più impensati potranno verificarsi, anche e, vorrei quasi dire, soprattutto nel dominio dell'arte. Ma è evidente che il titolo di Mostra del '900 non si riferisce a un dato di semplice cronologia. Credo di essere nel giusto se affermo, che per novecentisti non devono intendersi coloro che sono nati in questo o nel secolo scorso o che hanno cominciato a dipingere prima e dopo la guerra, ma coloro che seguono un determinato indirizzo artistico, e vogliono provocare una determinata selezione. I novecentisti sono artisti che non si rifiutano, non rifiutano e non debbono rifiutare alcuna esperienza e alcun tentativo; quasi tutti hanno infatti vissuto l'esperienza futurista, ma intendono di essere e di rappresentare qualche cosa per se stessi; un di più, una conclusione ed un inizio, creatori, non rifacitori o copiatori: un «momento artistico» insomma, che può essere abbastanza lungo e importante da lasciare durevole traccia nella storia dell'arte italiana di questo secolo.

La Prima Mostra del '900 è riuscita? Rispondo esplicitamente in modo affermativo. Bisogna considerare la natura speciale di questa Mostra. È una Mostra qualitativa non quantitativa. Non poteva quindi essere aperta a tutti, e nemmeno a molti.

Organizzare una Mostra artistica in genere e l'attuale in ispecie è particolarmente delicato: bisogna da una parte scegliere, e dall'altra respingere. Bisogna scegliere accuratamente e non meno accuratamente respingere quando si vogliono raggiungere fini non soltanto commerciali, ma si voglia valorizzare una tendenza artistica, indirizzare e talvolta correggere il gusto del pubblico. Non vi è dubbio che, nella quasi totalità, questa Mostra raccoglie opere di incontestabile valore artistico. C'è in molti di cotesti espositori che si avviano alla ferma maturità, il segno creativo di una forza che dispone ormai di mille possibilità, vi sono gli ignoti — scoperti per la prima volta — e tratti dalla loro solitudine provinciale, e vi è anche l'acerba e forse non fallace promessa di coloro che varcano — giovanetti — anch'essi per la prima volta la soglia seducente di questi templi.

Mi sono domandato se gli avvenimenti che ognuno di noi ha vissuto — Guerra e Fascismo — hanno lasciato tracce nelle opere qui esposte. Il volgare direbbe di no, perché, salvo il quadro «A Noi», futurista, non c'è nulla che ricordi o — ohimè — fotografi gli avvenimenti trascorsi o riproduca le scene delle quali fummo in varia misura spettatori o protagonisti.

Eppure il segno degli eventi c'è. Basta saperlo trovare. Questa pittura, questa scultura, diversifica da quella immediatamente antecedente in Italia. Ha un suo inconfondibile sigillo. Si vede che è il risultato di una severa disciplina interiore. Si vede che non è il prodotto di un mestiere facile e mercenario, ma di uno sforzo assiduo talora angoscioso. Ci sono i riverberi di questa Italia che ha fatto due guerre, che è diventata sdegnosa dei lunghi discorsi e di tutto ciò che rappresenta lo sciattume democratico, che ha in un venticinquennio camminato e quasi raggiunto e talora sorpassato gli altri popoli: la pittura e la scultura qui rappresentate sono forti come l'Italia d'oggi è forte nello spirito e nella sua volontà.

Difatti nelle opere qui esposte vi colpiscono questi elementi caratteristici e comuni: la decisione e la precisione: del segno, la nitidezza e la ricchezza del colore, la solida plasticità delle cose e delle figure. Guardate ad esempio la testa magnificamente scolpita del mio povero e fedele amico Bonservizi; non vi pare di leggere nel cavo profondo delle sue occhiaie la tragedia della sua fine improvvisa? Osservate talune «nature morte», taluni paesaggi, talune figure di uomini e di donne. Io guardo e dico: questo marmo, questo quadro mi piace. Perché mi allieta gli occhi, perché mi dà il senso dell'armonia, perché quella creazione vive in me ed io mi sento vivo in lei, attraverso il brivido che dà la comunione e la conquista della bellezza. Credo che molti di voi percorrendo le sale comprenderanno questo mio giudizio e troveranno che questa prima Mostra testimonia ottimamente per il certo avvenire dell'arte italiana.

Con questo auspicio, mentre ringrazio profondamente gli organizzatori e i promotori di questa Mostra, la dichiaro aperta in nome del Re.